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Il Sole 24 Ore

Vini italiani ancora sottovalutati rispetto al prezzo dei francesi … Il prodotto made in Italy è storicamente posizionato su una fascia di prezzo medio-bassa e distante da quella dei principali concorrenti ma il costo medio è salito in dieci anni del 50% circa… Eppur si muove. Uno dei punti critici del vino italiano, e certo non da oggi, è il suo posizionamento di prezzo. Retaggio di tempi passati quando il vino italiano si è cominciato ad affacciare sui mercati internazionali partendo dalle proprie produzioni di base. Vino commercializzato allo stato sfuso, indifferenziato, senza bottiglia né etichetta. Poi c’è stata la lunga stagione, nella seconda metà del '900 quando ambasciatori del made in Italy enologico sono stati prodotti come Lambrusco e Frascati. Vini entry level, che hanno avuto l’importante compito di far conoscere una produzione vitivinicola italiana in mercati lontani come quello Usa. Con questi trascorsi il vino made in Italy si è storicamente posizionato su una fascia di prezzo medio bassa e soprattutto molto distante da quella dei principali competitors, in particolare la Francia, che ancora oggi gode di un vantaggio competitivo legato alla propria presenza sui mercati esteri da molto prima dell’Italia. Tuttavia, negli anni i produttori italiani non sono rimasti a guardare e, soprattutto, a partire dai primi anni duemila hanno molto modificato sia il portafoglio di prodotti che i mercati di destinazione. Una strategia che in entrambi i casi è stata improntata alla logica del miglior valore aggiunto. E così da un punto di vista produttivo si è molto ridotta l’area dei vini sfusi a vantaggio prima degli imbottigliati, poi di quelli a denominazione e poi degli spumanti. Mentre sul fronte dei mercati l’Italia ha ormai il proprio principale bacino di vendita all’estero nel Nord America (Usa primo mercato estero ma anche Canada), e Nord Europa (dalla Germania al Regno Unito ai paesi scandinavi). Paesi nei quali è ormai consolidato un consumo di vino di qualità. Questa rincorsa a un miglior posizionamento emerge anche da alcune specifiche operazioni avvenute all’interno del recente trend merger & acquistion registrato nei mesi scorsi nel settore del vino made in Italy. Operazioni sempre più “chirurgiche” ed effettuate in un’ottica di completamento di una gamma di prodotti odi geografie del vino di qualità. Emblematica in questo senso è l’acquisizione di un’etichetta simbolo dei vini bianchi friulani, Jermann, da parte di Antinori tra i principali brand italiani famoso però soprattutto per i vini rossi di qualità. Un’operazione che non è un semplice completamento di un portafoglio di prodotti ma che equivale, se è possibile, a un ulteriore upgrade qualitativo dell’offerta Antinoli coprendo un segmento finora non core. Altra operazione effettuata in tempi recenti e che sembra rispondere a logiche di posizionamento è l’acquisto da parte del gruppo francese Epi, già proprietario della cantina simbolo del Brunello, Biondi Santi, dell’azienda del Chianti Classico Isole e Olena. Un’acquisizione che consente di raddoppiare i volumi di vendita nel segmento dei vini toscani Premium. Al tema del posizionamento sarà dedicato a Verona un incontro organizzato da Unicredit e N omisma nella giornata di apertura di Vinitalye dal titolo “Gli asset che creano valore per la filiera vitivinicola italiana: mercati, territori e imprese”. “La ricerca di un miglior posizionamento è alla base di molte delle acquisizioni nel mondo del vino degli ultimi anni - ha spiegato il responsabile di Wine Monitor di Nomisma, Denis Pantini -: secondo una nostra elaborazione su dati Cbre delle 147 operazioni registrate tra il 2016 il 2022 il 38% hanno interessato la Toscana, il 19% il Piemonte, l'11% il Veneto, 8% la Sicilia”. Ma sullo sfondo il tema dominante resta quello del prezzo e della valorizzazione di tutto il vino italiano. “È una strada obbligata - ha aggiunto Pantini - perché muri trend di consumi stabili se non in calo l’unica strada per aumentare i fatturati è quella di spuntare prezzi migliori. In questa ottica è molto importante il lavoro che si sta facendo con un innalzamento verso l’alto della qualità dei vini esportati dall’Italia. E i risultati si vedono. Negli ultimi dieci anni il prezzo medio dei vini bianchi italiani è passato da 2,3 a 3,33 euro antro (+44,6%) mentre quello dei rossi da 3,57 a 5,49 (+53,5%)”. Ma il divario con la Francia resta consistente. Secondo i dati di Wine Monitor oggi il prezzo medio del vino italiano nel complesso (fermi più spumanti) è di 3,26 euro contro i 6,32 dei francesi. Un dato sul quale pesa ancora tanto la componente spumanti visto che il prezzo medio delle bollicine italiane è di 3,19 euro mentre quelle francesi viaggiano a 18,62. Un aiuto in questo senso forse potrebbe venire dalla recente ondata inflazionistica che ha consentito ad alcuni vini italiani negli Stati Uniti di passare in maniera quasi automatica dalla fascia da 19,90 dollari a bottiglia a quella dei 23.90. Un altro campionato: dalla competizione con neozelandesi e cileni si è passati a quella con i vini francesi e della Napa Valley. “Anche l'inflazione può aiutare in questa partita - condude Pantini - ma ora perché si crei valore occorre che calino i costi produttivi altrimenti tutto si risolverebbe in una semplice partita di giro”.

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