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Il Sole 24 Ore / Agrisole

“Una scossa per la promozione” … Gianni Zonin spiega come dopo un biennio difficile il vino può imboccare la strada della ripresa dei prezzi… Bisogna evitare dispersioni di risorse delle iniziative regionali, “copiamo” il modello francese… È il momento per avviare, soprattutto all’estero,
un’operazione di recupero dei prezzi. Ne è convinto Gianni Zonin, uno dei principali imprenditori vitivinicoli italiani (1.800 ettari di vigneto in 7 regioni italiane per una produzione di 23 milioni di bottiglie e un fatturato vicino ai 100 milioni di euro). “Dopo un biennio difficile – spiega – nel
quale il vino italiano per mantenere le posizioni di mercato ha dovuto talvolta cedere sul fronte dei prezzi ora ci sono tutte le condizioni per un recupero”.

Il mercato crede sia in condizione di assorbire una ripresa delle quotazioni?

La crisi non è del tutto passata. E i nuovi sbocchi certo non sono in Italia dove mi auguro però che la flessione dei consumi si sia ormai esaurita. Bisogna puntare sempre di più all’estero. Certo. E bisogna farlo ma solo dopo aver fatto un’analisi articolata.

Cioè?

In primo luogo Italia e Spagna alle quali vanno aggiunti i paesi dell’Est europeo, hanno prodotto meno. La produzione francese si è ormai concentrata soprattutto sui nuovi spazi di mercato in Cina e tutti i principali competitor dell’Italia, dall’Australia agli stessi Usa, dal Sudafrica al Cile, sono alle prese con una rivalutazione delle proprie monete. Da questo mix di fattori produttivi e valutari
ne sta derivando una ripresa delle quotazioni della quale il vino italiano deve approfittare per riposizionarsi.

Quali sono le leve da azionare per guadagnare spazio all’estero?

In primo luogo la qualità. Se si realizzano prodotti di qualità, il mercato prima o poi lo riconoscerà. Non è una mia convinzione, è un dato di fatto. Senza contare che prodotti di qualità riconosciuta accrescono anche il prestigio dell’Italia, garantiscono insomma un ritorno anche in chiave promozionale per il vino made in Italy perché sui mercati si afferma sempre più l’idea che il vino italiano è un prodotto di assoluta qualità.

E poi c’è il capitolo della promozione. L’Ocm mette a disposizione risorse ingenti ma non è sempre chiaro se queste siano utilizzate al meglio.

Sulla promozione ci sono due o tre cose importanti da dire. In primo luogo non dobbiamo vergognarci di copiare le strategie vincenti degli altri. Prendiamo ad esempio la Francia. Avevano dei problemi con Bordeaux e Champagne sui mercati tradizionali. Hanno puntato forte sulla Cina. Di recente hanno effettuato un viaggio di dieci giorni toccando varie città cinesi con una delegazione di 300 produttori guidati dal ministro dell’Agricoltura francese. Hanno incontrato i buyer e la ristorazione su alcune piazze chiave. E oggi hanno risolto i loro problemi di mercato e sono leader indiscussi in un paese dalle prospettive enormi. Un paese nel quale noi non sappiamo andare oltre la guerra a colpi di prezzi bassi con spagnoli e cileni.

L’Italia è assente?

Il punto è questo: noi esportiamo nel complesso 20 milioni di ettolitri, la Francia 10. Noi fatturiamo all’estero 3,7 miliardi di euro, mentre la Francia con la metà dei volumi fattura più del doppio. Il solo Champagne fattura più di noi. Di questo dovremmo vergognarci.

Invece?

E invece – è notizia di pochi giorni fa – l’Italia continua a effettuare su una stessa piazza (New York) e lo stesso giorno, tre diverse manifestazioni sul vino italiano, promuovendo presso le stesse persone, i vini di tre regioni diverse. Continuando così ho l’impressione che non andremo lontano.

Eppure le risorse ci sono e il ministero sta facendo del proprio meglio per promuovere le associazioni temporanee di imprese (Asi). Per fare squadra.

Quella è un’ottima iniziativa e anche noi stiamo preparando un’Asi. Ma la promozione continua a scontare però ancora molti difetti.

Del tipo?

Del tipo che si fanno grandi pressioni per dare accesso ai fondi anche a piccole e piccolissime aziende che vanno sempre sugli stessi mercati e con le medesime iniziative. Che rischiano cioè di sovrapporsi. Non ho nulla contro i piccoli produttori, ma penso che bisogna spingere di più e premiare chi ha voglia davvero di investire e ha i numeri per farlo. Mentre temo che con troppe iniziative “caritatevoli” non faremo grandi passi in avanti.

L’export è di certo la priorità ma anche in Italia non mancano i nodi da sciogliere.

Sul piano interno la chiave di volta è il governo dell’offerta, che la nuova legge 61 affida ai consorzi. Ho proposto per il prosecco una sorta di accordo interprofessionale per limitare la volatilità dei prezzi e tutelare la redditività dei produttori. Inviti però finiti nel nulla e così dopo il boom delle quotazioni di quest’anno rischiamo di registrare un calo dei listini nei prossimi anni quando l’offerta crescerà.

Dall’Ocm arrivano input importanti come i fondi dedicati agli investimenti in rampa di lancio.

Quella è una voce molto importante e che in prospettiva può in buona parte sostituire le misure di mercato quando dal 2012 queste andranno in pensione. Guardo con favore ad esempio alla possibilità di finanziare la produzione di energia in azienda. Aspetto che sarà sempre più importante con la crescita dei prezzi del petrolio.

Qualcuno parla dell’ipotesi di aprire al disaccoppiamento anche nel vino.

Sarebbe una vera e propria follia. Ho fatto i calcoli, col decoupling andrebbero ai viticoltori pochi euro a ettaro che certo non risolvono granché. La trovo una scelta irrazionale e demagogica, che è stata errata nella Pac in generale e che non ha alcun sostegno nel mondo della viticoltura.

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