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Il Sole 24 Ore / Centro Nord

Meno burocrazia per le Pmi umbre ... Liberare l’agricoltura umbra dalla burocrazia, valorizzare al meglio le produzioni locali consapevoli che la politica europea mostra non poche falle su questo versante. Marco Caprai, 45 anni, presidente di Confagricoltura Umbria, imprenditore del vino alla guida della Arnaldo Caprai, delinea la sua ricetta per uscire dall’impasse.

La nuova Pac ha rappresentato un salto culturale. Passare dagli aiuti alla produzione all’aiuto al reddito ha determinato una svolta. Ma che impatto ha per l’Umbria?

Il nuovo approccio è nei suoi intenti positivo, tuttavia ne conseguono due importanti emergenze: da un lato il problema gravissimo di come riconvertire, e non abbandonare, importanti superfici agricole, come quelle del tabacco; dall’altro le grosse perdite di competitività nel tessuto produttivo economicamente più debole. Pensiamo per esempio all’olivicoltura in Umbria in aree marginali, ma di grande interesse qualitativo come l’alta fascia collinare da Assisi a Spoleto. In queste zone estreme spesso la produzione viene abbandonata sulle piante per la scarsa remunerazione che non copre i costi di raccolta. Su questo, l’essere passati dagli aiuti alla produzione al reddito non è certo stato un grande salto se non nel senso che abbiamo trasformato gli agricoltori da produttori di beni a beneficiari di sussidi, una specie di contadino senza futuro e missione da compiere.

L’agricoltura ha perso peso per incidenza sul Pil, il numero delle aziende agricole è in costante contrazione. Cosa significa oggi fare l’imprenditore agricolo in Umbria, è un settore su cui ancora scommettere?

Il contrarsi del numero delle aziende agricole in Umbria appare come un fatto di naturale rafforzamento di modello darwinistico ed ha sicuramente i suoi lati positivi. Il settore primario ha perso importanza ed incidenza sul Pil dei paesi ricchi, tuttavia continua a mantenere una cruciale e strategica posizione in termini di economia. Se guardiamo al “Rural Act” di Barack Obama, ci accorgiamo di come la prima forza economica del mondo abbia compreso l’enorme valore della produzione agricola e di quanto sia prioritario il delinearsi di una gestione agile, diretta ed efficacie della materia. Questo esempio, cosi come le diverse urgenze anche di ordine sanitario, ci fanno capire che è ora di intervenire concretamente per salvare il comparto che va liberato dalla burocrazia kafkiana ed a quei vecchi e nuovi balzelli che erodono la redditività e condannano l’agricoltore ad una progressiva ed incentivata uscita dal settore.

Oggi agricoltura è anche multifunzionalità. È turismo, è tutela del territorio, è sviluppo economico e sociale. Su quali linee dovrebbe puntare un piano di sviluppo rurale per rendere competitiva quest’area?

Sempre di più sul ruolo dell’impresa agricola moderna che è innovativa, produttiva, multifunzionale e sostenibile e che riconosce nei giovani imprenditori che ha al suo centro un’agricoltura fondata su una produzione alimentare sana e di qualità, sull’agroenergia, sull’agriturismo sulle ricchezze del bosco su quelle faunistico venatorie e non “sui sussidi e sull’incolto”, ambiti ideali della non economia. Il nuovo Psr dovrà poter essere attuato in un quadro alleggerito dalla burocrazia e potersi basare su programmazioni di lungo periodo, dove sia ben chiaro a tutti che chi vive di agricoltura è più importante di chi vive per l’agricoltura. Sono convinto che solo così le risorse del Psr si tramuteranno in un volano anticrisi e di prospettiva futura; se verranno cioè rese velocemente disponibili ed impegnate per progetti d’impresa che riportino gli imprenditori e i giovani agricoltori alla loro mission di produrre per il mercato.

Venendo alla sua attività di produttore di vino, quello del Sagrantino di Montefalco è un caso molto interessante: in pochi anni è salito alla ribalta dello scenario enologico internazionale. Come è stato possibile?

Passione, lavoro e ricerca. Quando la mia famiglia nel 1971 iniziò quest’avventura, nulla tranne il potenziale del Sagrantino, poteva far presagire un successo del genere: solo la tenacia e la fiducia nell’unicità dell’“insieme Montefalco” ci ha dato la spinta per continuare il nostro percorso. Da subito abbiamo avviato un lungo processo di ricerca e sperimentazione con l’università di Milano (tutt’ora in atto) ponendoci così al pari dei migliori, abbiamo poi creduto che fosse importante riuscire a comunicare il nostro lavoro nella maniera migliore.

Il suo Sagrantino è stato scelto addirittura per rappresentare il top dell’enologia italiana nel film “Holy Money”, diretto da Maxime Alexandre, in uscita il prossimo autunno. Cosa manca all’Umbria per essere più internazionale?

Maxime Alexandre ha compreso ciò che da sempre è alla base del nostro lavoro e di questo lo ringrazio, ovvero la produzione di un vino che rappresenta la radice d’italianità: la materia prima (una varietà autoctona) il suo forte legame con un territorio unico (Montefalco) fortemente caratterizzato. Molte aziende umbre oggi applicano questo modello, tuttavia per molte di esse il problema sono le dimensioni ridotte, la difficoltà a connettersi alle reti e la mancanza d’infrastrutture, deficit che sommati non permettono alle singole realtà di attuare progetti complessi. La causa molto spesso è anche dei “campanili” che restringono la ricerca di una strategia comune valida per tutto il sistema Umbria pensata in modo che ogni Pmi possa riversare in essa le proprie forze e partecipare così a un grande progetto.

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