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Il Sole 24 Ore / Nova

Il piacere di un brindisi agli antipodi ... Storie. Dalla tradizione all'innovazione... “Ci vuole un poeta, per fare del buon vino”. Così raccontava un vecchio monsieur durante il documentario di Jonathan Nossiter che nel 2004 ha dato una scossa a tutto il Mondovino (dvd e libro, Feltrinelli Real Cinema, costano € 19,00). All’interno della pellicola, infatti, si prospettava la fine del vino come esperienza culturale. E l’arrivo, anche in questo nobil campo, della spietata globalizzazione e di un marketing sempre più incipiente.
Le cause portate a testimonianza della morte della millenaria tradizione nano più o meno le stesse che hanno contaminato tanti altri ambiti della cultura. Multinazionali potentissime. Monopoli del gusto. Tecnologia asettica. Grande distribuzione inefficace. Consulenti prezzolali. Media di parte. Liti di famiglia. Nuove generazioni prive di consapevolezza. Il Vecchio mondo che sopravvive, e il Nuovo, quotato al Nasdaq, che lo governa in tuffo e per tutto. Fatti i debiti paragoni, la preannunciata “crisi di Bacco” assomiglia a quella del cinema, della letteratura, della musica e delle arti tout court.
E tuttavia, c’è anche qualche buona notizia, oltre i doverosi allarmismi: le nuove generazioni non sono poi così male. Anzi. Un “ragazzo” come Piero Incisa della Rocchetta, per esempio, fa ben sperare per tuffi. Trentanovenne, sessanta aerei all’anno e quattro lingue a portafoglio, da qualche tempo si è trasferito in Patagonia, a Rio Negro, e ha creato la wine estate Bodega Chacra (www.bodegachacra.com). Una piccola iniziativa personale che dimostra quanto ci sia ancora spazio per chi davvero ama la tradizione del vino, ma anche la sperimentazione.
Alla sua 2.272aesima bottiglia di Pinot Nero, in un hotel milanese, Piero Incisa ci ha raccontato: “Volevo creare un vino riflessivo e non un alimento di consumo qualsiasi. Mi sono accorto che le fragranze leggere e veloci non erano il mio genere. Avevo bisogno di maggiore consistenza...”. E se il vino è lo specchio dell’anima, questo marchese dagli occhi blu sembra davvero alla ricerca di qualcosa: “Avevo bisogno di elaborare un carattere - continua Piero -. È andata bene, per fortuna. Il vino è piaciuto molto in America, e il wine director del ristorante Babbo di New York me ne ha ordinate parecchie bottiglie. Buon segno”.
Già. Le filosofie controcorrente, quindi, hanno ancora qualche speranza di successo. Incisa ha creduto, enologicamente parlando, in un prodotto agli antipodi del fashion. Trasformandolo in una realtà super-fashion. “Per ottenere il gusto che mi appartiene e che mi somiglia - continua Piero assaggio personalmente gli acini. Fino a capire quando è arrivato il momento giusto per la vendemmia...”.
A osservarlo, così elegantemente perfetto, non si direbbe che Piero Incisa - famiglia con tanto di stemma - avesse bisogno di rimboccarsi le maniche e creare dal nulla, dall’altra parte del globo, la propria isola felice. Nè tantomeno di allontanarsi da casa propria per fare del buon vino. E tuttavia, certe volte, le radici hanno un loro spessore, e anche un loro peso specifico. Suo nonno, il marchese Mario Incisa della Rocchetta, fu proprietario della famosa scuderia Dormello Oliata - da cui nacque il mitico Ribot, un cavallo che ha fatto storia - e nelle sue cantine pensò e diede vita l’autorevole Sassicaia. Ma le origini della stirpe è il caso di dirlo - risalgono addirittura a prima dell’anno Mille. Viticoltura e vinificazione praticate da secoli, quindi, e avviate probabilmente da monaci benedettini, a cui i Marchesi Incisa consentirono di impiantare vigneti sulle colline del feudo di Rocchetta Tanaro.
“Mi sono accolto che prendere la mia strada significava conservare le conoscenze e la tradizione dell’azienda familiare per trovare però una relazione diversa con il lavoro - spiega Piero -. Un esempio per tutti: nell’azienda di mio padre e dei miei fratelli ci si dà dei lei, con i dipendenti. Con i miei collaboratori, che ho scelto a uno a uno esportato in Patagonia, ci rivolgiamo l’un l’altro utilizzando rigorosamente il “tu”. Così come con i contadini del posto. Sarebbe stato inutile portare il mio approccio alla professione in una realtà italiana così ben collaudata, con le sue ritualità e i suoi modi continua Piero-. Ma nella Terra del Fuoco, invece, mi sono preso questa libertà”. Racconta di suo nonno, infine, Piero Incisa. E dei suoi insegnamenti sul vino. Bruee Chatwin arrivò in Patagonia alla ricerca del suo passato, e di antichi antenati. Da quel viaggio nacque il suo primo libro di successo (“In Patagonia”, Adelphi Editore). Chissà che anche Piero, con il Bodega Chacra, non abbia firmato il suo.

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