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Il Sole 24 Ore / Plus

Chi investe nelle vigne-top ... Per ora molti vigneti italiani sono al riparo dal rischio siccità. Trattandosi di una coltura resistente, l'unico impatto sembra circoscritto in alcune zone all'anticipo della vendemmia. Per fare previsioni bisognerà aspettare il "clima" di agosto. Molti sperano in precipitazioni e livello di temperatura decisamente migliori di quanto accaduto lo scorso anno. Con 42 milioni di ettolitri di vino l'annata 2002 è stata tra le più scarse dagli anni 50. «Rispetto al 2001 il calo è stato del 20% - ricorda Giuseppe Martelli, direttore generale dell'Assoenologi - ma con 53,2 milioni di ettolitri siamo insieme alla Francia i principali produttori al mondo. Il 33% della produzione europea e il 21% di quella mondiale parla italiano e nel 2002 è stato raggiunto un primato importante: il prodotto vino con 3,03 miliardi di euro ha rappresentato la voce più consistente dell'export nell'agroalimentare». E per quanto la concorrenza di Spagna, Australia e Cile si faccia sentire, il prodotto vino sta guadagnando terreno. Secondo un'indagine di Mediobanca, il fatturato dell'industria enotecnica tra il '96 e il 2000 è cresciuto del 32% con un margine operativo lordo del 13%. Una ragione, questa, che spiega perché al vino abbiano iniziato a guardare con interesse sempre più imprenditori provenienti da altri settori, spesso da quello della finanza; per chi c'era già la parola d'ordine è consolidare la presenza. È il caso per esempio di Luigi Zunino, che oltre al settore immobiliare, più per ragioni di cuore che di business, dal 1986 è impegnato nel settore vitivinicolo con una propria cantina nella sua zona, precisamente quella di Nizza Monferrato «un'area dal micro clima eccezionale - precisa - , con una vocazione vinicola tra le migliori in Italia e dove si riesce a produrre un Barbera d'Asti di qualità eccellente». A un primo possedimento di 18 ettari, se ne è aggiunto un altro di 22 che deve essere ultimato per una produzione annua tra le 16 e le 20mila bottiglie. «Per ottenere una certa reddività, diminuendo i costi ma mantenendo lo stesso livello qualitativo - aggiunge Zunino - si deve ragionare in termini di 30 ettari e una produzione di 50 quintali per ettaro». Un risultato non facile perché questo è un business a lungo, anzi lunghissimo termine. Lo sa bene Gianni Zonin che prima che essere presidente della Popolare di Vicenza appartiene a una famiglia che da più di tre generazioni lavora con il vino (nel 2002 le 12 aziende agricole per 1.800 ettari di terreno hanno realizzato ricavi per 76 milioni di euro, in crescita del 9% e con un incidenza dell'export passato dal 37 al 40%). «Prima di dieci anni in quest'attività non si va a break even - spiega - e ci vogliono almeno 50 ettari per puntare a un business che dia un ritorno e dove valga la pena investire». Anche il mondo del private equity non è rimasto a guardare. «Ci interessa intanto perché è uno dei prodotti italiani per antonomasia - ricorda Lucio Quinzio Leonelli, partner di Opera , società di private equity che si muove solo nell'ambito del made in Italy -, poi perché rappresenta il 13% del comparto alimentare bevande con un giro d'affari di quasi 8 miliardi di euro e con una bilancia commerciale fortemente in attivo. Insomma, è una cosa seria, strettamente italiana e dalle perfomance interessanti». Ma non è tutto rose e fiori. «È un settore molto frammentato, fatto di aziende "nane" (0,9 ettari la dimensione media), gestite a livello familiare - aggiunge Leonelli -; le prime 25 aziende fanno solo il 17% della produzione Doc, a fronte di mercato californiano dove le prime 25 aziende fanno il 90% della produzione». Insomma, un settore che non riesce ad attrarre capitali, né manager di alto profilo e quindi a raggiungere un network internazionale. Requisiti, questi, a cui un fondo di private equity guarda perché il suo obiettivo è proprio quello di entrare.

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