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Il Sole 24 Ore

Finanza/Il listino è ancora lontano. Impasse per il progetto di Borsa Italiana mentre si moltiplicano le “opzioni” fai-da-te ... “Investire nel vino, male che vada lo si può bere”. Mai come oggi la celebre frase dell’avvocato Agnelli è così attuale. Il mondo del vino e quello della finanza stanno convergendo verso un unico obiettivo, quello di creare ricchezza. Il vino, non più semplice bene di consumo, è diventato uno strumento su cui investire, al pari dei titoli azionari o dei prodotti derivati. E’ proprio su questo concetto che Borsa Italiana sta studiando da alcuni mesi una piattaforma per quotare il prodotto più “liquido” per definizione. La formula che meglio si adatta al vino, un prodotto che migliora con l’invecchiamento, è quella degli “en primeur”: acquisto oggi per ottenere la bottiglia domani. Una modalità di compravendita ceh, già nel 1600, era una consuetudine in Olanda nel commercio dei tulipani: l’incasso a pronti e la consegna a termine, secondo alcuni guru della finanza, precorsero addirittura, con secoli di anticipo, la nascita dei mercati finanziari moderni. Per i produttori rappresenta un’opportunità di recuperare liquidità in anticipo e, per gli acquirenti, è il modo per garantirsi alla scadenza il bene, senza essere costretti a subire eventuali oscillazioni di prezzo. Sui mercati finanziari evoluti la risposta migliore a questo tipo di esigenze è il contratto future. “Attenzione però – dice Raffaelle Jerusalmi, responsabile del settore Derivati per Borsa Italiani – a confondere questi contratti derivati regolamentati con le iniziative spontanee. Oggi noi stiamo lavorando per creare un vero e proprio mercato, con delle regole che lo governino, dove si possa creare una vera domanda e offerta”. Borsa Italiana ha già interessato Consob e sta parlando con diversi produttori e banche d’affari, che ovviamente hanno annusato il business. C’è l’interesse dei produttori, quelo del mondo della finanza e quello delle istituzioni di mercato, eppure il listino dei future per il vino non parte. Come mai? “Il problema – aggiunge Jerusalmi – è legato alla realtà produttiva italiana, sia al mercato. Nel mercato Paese ci sono troppe tipologie di buon vino e molti distrubutori, spesso poco disposti a vendere i migliori produttori quotati in Borsa”. Per questa ragione Borsa italiana sta anche pensando che un domani possa nascere un listino dove quotare più che le bottiglie le aziende che le producono. “Ci sono ancora molti aspetti da chiarire – aggiunge Jerusalmi – a cominciare dal fatto che le società vitivinicole spesso sono aziende agricole e non Spa. Per cui – dice – non sarà facile neanche percorrere questa strada, ma non escludiamo che possa nascere un listino, come è nato quello del Nuovo Mercato, per aziende vinicole che hanno le qualità per crescere e generare profitti”. Da segnalare l’iniziativa di Emprimer Spa, promotrice di un progetto teso a realizzare un fondo chiuso su vini di altissima qualità (non inferiori a 150 Euro a bottiglia) a cui partecipano istituti di credito molto importanti. Un’altra inziativa interessante è la quotazione di casse vino provenienti da case vinicole blasonate prevista per fine 2002.
Intanto continua in Italia, anche nel mondo del vino, il fai-dai-te finanziario, con prodotti che spesso vengono chiamati impropriamente future, in modo da ottenere una buona operazione di marketing. In questo senso in Italia si è partiti a metà degli anni 90, quando Ezio Rivella decise di lanciare i contratti “future” abbinati al vino Brunello di Montalcino di Castello Banfi. Poi si passò ad operazioni obbligazionarie e warrant che hanno interessato aziende come Antinori o Frescobaldi e banche come Mediobanca, Meliorbanca e Caboto (IntesaBci). Recentemente Banca Antonveneta e un’azienda vinicola di Montalcino, la Tenuta Carlina sas di D.Tonon & C, hanno promosso i “future” sul famoso Brunello di Montalcino.

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