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Il Sole 24 Ore

Il cappone fa a botte col salmone e vince un panettone ... Il Natale gastronomico è sempre più orientato al passato. Sì, perché negli ultimi anni qualche tentazione deviazionistica c'era stata: sulle tavole del 24 e del 25 dicembre stavano dilagando corpi estranei a cominciare dal salmone, così com'era cominciato a scarseggiare il panettone. Certo è difficile che torni il menu natalizio proposto da Pellegrino Artusi nel suo celeberrimo libro: cappelletti all'uso di Romagna, crostini di fegatini di pollo, (può sembrare bizzarro ma la successione indicata è questa), cappone con sformato di riso verde, pasticcio di lepre, gallina di faraona e uccelli, panforte di Siena, pane certosino di Bologna, gelato di mandorle tostate. Un pranzo natalizio di accento tosco-emiliano-romagnolo, fatta eccezione per il finale freddo siciliano. Ma per quest'anno lasciamo perdere i consigli televisi del giorno dopo per combattere il grasso accumulato nel torneo natalizio della tavola. Ma per una volta non facciamoci del male, non ascoltiamo i suggerimenti, infischiamocene, saremo sazi e felici. Ho sempre avuto l'impressione che, anche rinunciando alla gallina ripiena, alla galantina di tacchino, al cappone ripieno di mostarda di Cremona, agli anolini o ai tortellini in brodo, al capitone (pietanze di tradizione regionale natalizia), si possa egualmente ingrassare semplicemente sognando questi sapori. Forse è meglio togliersi lo sfizio. Il deviazionismo degli anni passati non solo con il salmone, ma pure con il foie gras, il caviale, cioè con prodotti ricchi per mostrare il proprio status, apparente o reale, mi avevano fatto temere il peggio. Mi son detto, vuoi vedere che il 24 sera o il 25 a pranzo ci sarà il boom del sushi e del sashimi, travestiti da Babbo Natale con fiocchi e palle e nastri d'argento? Dalle indicazioni che arrivano dai negozi e dai ristoranti sembra proprio un pericolo sventato. Radici e memoria storica battono, almeno per quest'anno, l'esotico, la fuga, l'immaginario del lontano. Che ci sia nell'aria ricerca di concretezza che tocca anche il cibo e le tradizioni? Certo è che i prodotti cari, quelli insomma definiti per ricchi, come più volte sottolineato hanno fatto il loro tempo. Oggi sono i prodotti poveri a salire nella hit parade dello status. La gallina in galantina o il cappone sono più "in" della carne di struzzo. La mostarda di Cremona e il bagnet per il bollito vengono più gettonati della soia. Oltre al pericolo dell'esotico, la tradizione avrebbe potuto trovare nella sua strada un altro ostacolo: la contaminazione alimentare. Cioè a dire le influenze portate dalla mescolanza. Si potrebbe immaginare, per esempio, un panettone allo zenzero dopo aver visto quello all'ananas (ma perché questi sposalizi?). L'identità non viene messa in discussione a tavola almeno nelle feste solenni. L'emigrazione italiana negli Stati Uniti, che tanto ha influenzato la cucina di quel Paese, non ha fatto cambiare le abitudini agli americani il giorno della festa del ringraziamento. Il tacchino è rimasto tale e quale. Non lo hanno contaminato neppure i messicani, gli irlandesi e i portoricani. Sembra quasi che la tradizione gastronomica nei momenti topici per i popoli sia intoccabile. Sebbene l'Artusi venga considerato l'unificatore della cucina italiana - non è così, le influenze tosco-romagnole pesano troppo ed era scarsa la sua conoscenza delle ricette del Sud -, il menu natalizio da lui proposto non può venir preso come quello classico italiano. Le differenze territoriali, non solo regionali, ma addirittura comunali fanno sì che il Natale abbia tante e diverse ricette. Capponi, galline e faraone al Nord, agnello al Centro-Sud, pesce al Sud mostrano come i protagonisti a tavola possano cambiare. Perfino le abitudini di festeggiare a tavola il Natale o la sera del 24 o il 25 a pranzo sono evidenti segni di diversità. E poi che dire del dulcis in fundo. Il panettone ha sempre più allargato la sua area di influenza, oggi è possibile infatti acquistarlo in pasticcerie non solo al Nord, ma in quasi tutta Italia, così pure il pandoro. Non si può però definire il dolce tricolore del Natale perché il Pandolce in Liguria, il Panforte di Siena, e il Panpepato, il Pangiallo assieme ai mustazzoli, gli struffoli, alle pabassinas, alle carteddate si ribellerebbero. Non c'è bisogno di inventarsi la gastrodevolution: in cucina essa regna da secoli. Sine qua non. (arretrato de "Il Sole 24 Ore" del 22 dicembre 2002)

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