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Il Sole 24 Ore

L'Australia tallona l'Italia nelle vendite di vino in Usa ... La trentennale leadership italiana di Paese maggiore fornitore di vino degli Stati Uniti, cui s'è aggiunta due anni fa anche quella in termini di valore strappata alla Francia, rischia ora di essere fagocitata dalla voracità dei vignaioli australiani. Che con un incredibile crescita del 58% in valore a 98,2 milioni di dollari conseguita nel primo bimestre di quest'anno, rispetto allo stesso periodo del 2002, si sono portati a un'incollatura dal vertice. Rimasto per un soffio (101,6 milioni) ancora in mani tricolori, ma per l'Italia è una magra consolazione. L'andamento dei flussi esportativi, da un lato, e l'euro forte, dall'altro, suggeriscono infatti che per il sorpasso e il corrispondente passaggio del testimone dalla vecchia Europa al continente "nuovissimo" è solo questione di mesi, se non proprio di settimane. Anzi, secondo quanto risulta all'Italian wine&food institute di New York, il "salto del canguro" si era già verificato a gennaio, ma gli analisti doganali evitarono di darne notizia in quanto gli interscambi di quel mese potevano essere viziati da partite caricate sulla gestione dell'anno precedente. Una riserva, questa, che è venuta meno al termine del primo bimestre, da cui - come riferisce l'Iw&fi - risulta l'avanzata senza freni dell'Australia, sia per quanto riguarda i valori sia per le quantità cresciute del 55% a 230mila ettolitri, contro un totale italiano di 264mila ettolitri (+7%). Il confronto di questi dati fa capire che oltretutto per i produttori di casa nostra non c'è nemmeno la scusa dei prezzi, giacchè i vini made in Australia, con una media all'ingresso sul mercato americano di 4,27 dollari il litro, si collocano decisamente sopra la media (3,85 dollari) dei nostri. Che, al di là del fatto che non si chiamano solo Chianti, Barolo, Soave e Nero d'Avola, hanno comunque scontato la rivalutazione dell'euro rispetto al dollaro, al punto che i valori delle esportazioni dei vini sia italiani che francesi hanno accusato un incremento, rispettivamente, del 27 e del 36 per cento. Ma non sembra essere questo il vero e più impegnativo problema, «anche se - dichiara Lucio Caputo dell'Iw&fi - non passa inosservato il fatto che a fronte delle diverse decine di vini che fanno parte delle nostre offerte, quelle australiane sono viceversa condensate in pochi marchi sui quali si focalizzano campagne di promozione che i vini italiani invidiano». D'altra parte gli stessi produttori di Champagne - è Bruno Paillard del Civc che lo dice - pur in presenza di un clima americano ostile verso i prodotti francesi, hanno deciso di lanciare una campagna di promozione che sta già dando segnali incoraggianti per la ripresa del vino francese negli Stati Uniti.

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