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Il Sole 24 Ore

Vino, Chianti contro Australia ... Il vino australiano conquista il mondo e mette nell'angolo i vignaioli europei? Tanto di cappello se le regole della sana competizione valgono per tutti. Ma così non è. Non può mai esserlo con i loro vini che arrivano nei principali mercati europei a prezzi stracciati (tra 1,6 e 2,4 euro a litro) quando il costo medio di produzione franco cantina sfiora i 3,5 euro. Se poi a questi listini, già in odore di sottocosto, si fa seguire il «legittimo dubbio che le performance ottenute (dai vini australiani) su alcuni mercati potrebbero essere dovute ad accordi di "cartello" tra le principali aziende esportatrici», ecco che appare legittimo il grido di allarme dei vignaioli del Consorzio Chianti classico i quali reclamano, come fa il direttore Giuseppe Liberatore, l'immediato intervento dell'Authority di controllo europea «per fare un'indagine conoscitiva e vedere se quanto abbiamo appurato noi è lecito o no». «Siamo pronti - aggiunge Liberatore - a dare la nostra collaborazione, mettendo a disposizione dell'Autorità tutta la documentazione raccolta e che ci ha permesso di capire che la situazione che si è creata sui mercati internazionali è a dir poco squilibrata, a tutto a vantaggio dei vini australiani e con grave danno dei nostri». «Abbiamo potuto osservare - incalza Liberatore - che la crescita esponenziale dell'export del vino made in Australia in molti Paesi europei, soprattutto se di nuova acquisizione, è stata concomitante a una riduzione via via sempre più ampia dei loro listini di vendita. Il caso della Germania è in questo senso illuminante: qui tra maggio 2002 e maggio 2003 le esportazioni australiane sono aumentate, in quantità, dell'83 per cento; ebbene, questa crescita è avvenuta in presenza di un contemporaneo e sostanzioso taglio dei prezzi del 31%, a quota 2,81 dollari australiani per litro (ossia 1,6 euro)». La stessa pratica, sia pure con entità diverse, è stata applicata in Svizzera, Olanda, Danimarca e Svezia, in tutti mercati, cioè, dove la presenza australiana è ancora da consolidare. Diverso il caso della Gran Bretagna, che costituisce il principale mercato di sbocco per l'Australia (215 milioni di litri, quasi la metà del totale esportato) e dove il prezzo medio di cessione è rimasto invariato. Ancora diverso il caso Usa, dove i vini australiani stanno macinando un successo dopo l'altro (+60% nei primi quattro mesi di quest'anno), nonostante il prezzo medio sia rimasto inalterato (5,99 $A). A fronte di tutto questo, il direttore del Consorzio del Chianti fa notare che la stessa Wfa, la Federazione delle imprese vinicole australiane, dichiara che «il costo medio netto di produzione franco cantina è stato nell'ultima vendemmia di 5,96 $A». Differenze di prezzo appunto troppo ampie per non fare emergere «dubbi che su questi mercati - afferma Liberatore - le industrie australiane abbiano usato la leva del prezzo in maniera non ortodossa». Se a questo si aggiunge il fatto che «in Australia - dice Liberatore - 20 aziende su 1.600 controllano il 94% della produzione e le stesse controllano la quasi totalità dei flussi all'esportazione, allora sembra lecito chiedersi se le performance ottenute dagli australiani su alcuni mercati non siano dovute ad accordi di "cartello" che hanno finito per penalizzare soprattutto i produttori europei». E tanto basta per indurre i vignaioli chiantigiani a chiedere all'Authority europea «a non indugiare nei controlli». Il sospetto di dumping è forte.

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