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Il Sole 24 Ore

Politiche commerciali - Tensioni con gli Usa sul vino. I produttori italiani chiedono di modificare la bozza di accordo elaborata con la Unione Europea ... Non solo i sussidi e i superdazi all'interscambio di pasta e pelati di pomodoro intralciano i flussi commerciali tra Ue e Usa (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri). Nel mirino ci sono infatti altri prodotti e tra questi il vino, che è il prodotto alimentare europeo più esportato negli Stati Uniti (3,1 milioni di ettolitri per 1,4 miliardi di dollari nel 2002) e per il quale esiste un accordo in regime transitorio da 18 anni che detta le regole di import-export e scade a fine anno. Bruxelles e Washington da sempre sostengono di volere arrivare a un compromesso definitivo. Per questo, da tempo, è avviata una trattativa che ha portato alla stesura di una bozza che lunedì prossimo sarà all'esame del Comitato Agricoltura della Commissione Ue. Ma la questione sembra destinata ad arenarsi subito, perchè i produttori europei - e italiani in particolare - hanno già bollato il testo come «tecnicamente squilibrato e strategicamente inaccettabile». Per le aziende di Federvini e dell'Unione italiana vini il motivo di questo squilibrio sta nel fatto che gli americani, da un lato, chiedono il definitivo riconoscimento delle loro tecniche enologiche, alcune delle quali sono vietate in Europa (per esempio l'uso di resine sintetiche come stabilizzanti e di trucioli al posto delle barrique) e, dall'altro, non fanno nessuna apertura sul capitolo delle Denominazioni d'origine. Il motivo è spiegabile con il fatto che al di là dell'Atlantico non intendono rinunciare a utilizzare nomi come Chianti o Marsala che per noi sono "denominazioni" controllate o protette e per loro nomi comuni. Il direttore generale dell'Uiv, Davide Gaeta, dice: «La bozza di accordo ci penalizza su tutto. Se il testo dovesse passare così com'è, finiremmo per dare agli americani l'opportunità di venderci ciò che vogliono, mentre come contropartita non avremmo nulla. E allora perchè non cominciare a chiedere maggiori facilitazioni all'export dei nostri vini»? Gli fa eco il vicedirettore di Federvini, Ottavio Cagiano de Azevedo, secondo il quale la questione che si pone per l'Europa e l'Italia è sostanziale per assicurare un normale sviluppo delle relazioni commerciali con l'America. «Riteniamo - dice - che il testo, su cui a Bruxelles si sta lavorando, così come si presenta ci sfavorisce. Non è pensabile che si permetta agli americani di vendere in Europa vini fatti con sistemi che i produttori europei non possono assolutamente utilizzare, pena l'applicazione di dure sanzioni. Di questo ne dobbiamo discutere e non fare finta di lasciare perdere». D'altra parte il rappresentante di Federvini osserva che «l'Europa e gli Usa non possono permettersi di perdere di vista la questione di fondo, cioè quella di trovare un accordo quadro definitivo che consenta di superare il sistema delle proroghe. Altrimenti c'è il pericolo di far saltare qualsiasi programmazione». E questo certo non aiuta nessuno, men che meno l'Italia che, almeno sul fronte dell'interscambio con gli Stati Uniti, si trova a gestire una posizione decisamente positiva, anche se negli ultimi mesi la domanda americana ha privilegiato i vini di altri Paesi. È un fatto che nei primi sei mesi dell'anno, mentre la crescita quantitativa dell'Italia si è fermata al 7%, quella australiana ha corso a più non posso con un +41%, portandosi a 718mila ettolitri, accorciando così notevolmente il gap con l'Italia. Che con 948mila ettolitri resta ancora saldamente al primo posto delle preferenze degli americani.

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