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Il Sole 24 Ore

Italia a caccia di vigneti esteri. Incalzati dalla concorrenza internazionale i produttori rilanciano con gli investimenti in Paesi. Cambia lo scenario mondiale del vino … Nuovi vignaioli di paesi lontani si affacciano prepotentemente alla ribalta internazionale e la congiuntura attuale non favorisce lo sviluppo, con l'export made in Italy che perde colpi (-17% nei primi sei mesi dell'anno). I produttori italiani però non si perdono d'animo, e migliorano qualità e gestione dell'impresa ma anche investendo nelle terre da vino di altri paesi. Nel mirino c'è l'Est europeo o il Nord Africa, che peraltro vantano prezzi assai competitivi (800-1.200 euro l'ettaro contro una media di 12-15mila euro in Italia), ma anche le terre più lontane della California, del Cile, della Cina, della Nuova Zelanda. Sono diverse decine le operazioni più importanti monitorate dal Sole-24 Ore negli ultimi anni, per circa 10mila ettari. In molti casi si tratta di fondi "nudi" o boschi, in altri di terreni per cereali e orticoltura; gli investimenti in terre da vino sfiorano i 2mila ettari per un valore totale stimato tra 100 e 120 milioni di euro. A dare il via alla delocalizzazione viticola è stato l'imprenditore vicentino Gianni Zonin, che già sul finire degli anni 70 acquistò 450 ettari di terreni vergini nei pressi di Barboursville, in Virginia. Allora da quelle parti la produzione del vino era tabù: Zonin è riuscito a riconvertire a vigna 90 ettari e a creare forza lavoro specializzata, dando così il via a quello che oggi è considerato il secondo polo vitivinicolo più importante degli Stati Uniti. Ma l'acquisizione più rilevante e complessa è quella fatta appena due mesi fa da Genagricola (gruppo Generali) in Romania: 5.500 ettari incolti e destinati a diventare fiore all'occhiello della futura agricoltura rumena. Una parte importante del progetto è la realizzazione di un vigneto su un'area di 500 ettari lungo il confine ungherese e che, come ha dichiarato lo stesso presidente Giuseppe Perissinotto, «mette il gruppo al riparo dalla penuria dei terreni utili alla nostra attività». Ed è ancora nel cuore dell'Europa danubbiana che un altro grande marchio vinicolo italiano, Antinori di Firenze - alleato con Jacopo Mazzei (Fonterutoli) e con l'ungherese Peter Zwack (amaro Unicum) - ha messo pianta stabile in Ungheria con il progetto Bàtaapàti (140 ettari di vigna), cui più di recente ha fatto seguito (in collaborazione con il bottaio Gamba) un'attività di produzione di barrique destinate alle cantine di mezza Europa. Per Antinori il progetto ungherese è stato il primo di una serie: oggi il gruppo fiorentino possiede quasi 300 ettari di vigneti tra California, Washington, Cile e, da ultimo, Nuova Zelanda, dove è andato con i fratelli Lodovico e Ilaria. Poco più a Est, in Georgia hanno recentemente acquistato i fratelli Bruna e Stefano Baroncini di San Gimignano. E non da meno è l'impegno di Campari. Il gruppo liquoristico milanese con l'acquisto della vinicola Sella & Mosca s'è trovato in eredità due realtà estere «che hanno un grosso potenziale di crescita», spiega Enzo Visone, amministratore delegato aggiunto del gruppo. La prima (Chateau Lamargue) si trova lungo la valle del Rodano, in Francia; la seconda a Shandong, in Cina, dove il gruppo ha avuto in gestione dallo Stato 200 ettari che sono stati riconvertiti a vigneti e che producono vino (Catai) già venduto nella regione. Dall'Asia all'Africa, alla Tunisia, dove s'è insediata la vinicola siciliana Calatrasi: il titolare Maurizio Miccichè nell'99 ha vinto due gare d'applato indette dal Governo locale riguardanti terreni demaniali per 900 ettari, ma solo una parte sono coltivabili. La concessione è venticinquennale e finora ha comportato un investimento di 8 milioni di euro per riconvertire una parte dei vecchi vigneti di origine francese, nonchè realizzare una cantina tutta climatizzata: i vini sono destinati all'export ma anche al consumo interno. E altrettanto impegnativi sono gli investimenti nelle Americhe: da quello realizzato dalla friulana Fantinel a San Cristobal di Cuba (30 ettari di vigneti che, grazie al clima, permettono di fare due vendemmie l'anno), a quello della Masi di Verona in Argentina. E in Sud America è andato anche Francesco Marone Cinzano. L'erede della dinastia di spumantieri italiani, dopo essere uscito del tutto dalla casa di famiglia, ha concentrato le proprie attività in Toscana (Col d'Orcia di Montalcino) e ora anche in Cile. Qui Marone Cinzano ha rilevato con un partner locale la fazenda Vigna la Reserva di Caliboro: 230 ettari a Sud di Santiago, le cui terre - assicura l'imprenditore - hanno un elevato poteziale per la produzione di vini rossi da lungo invecchiamento. Vini, cioè, ottenuti da basi importate anche dall'Italia.

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