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Il Sole 24 Ore

Storie di imprenditori - «Non ditemi che so di tappo». Franco Ziliani, diploma da enologo, ha fatto nascere con un accordo sulla parola l'azienda vinicola Guido Berlucchi & C ... Siamo seduti nella centenaria sedrera di Palazzo Lana, accogliente rifugio invernale, nei tempi andati, per le piante di cedro. Il divano è lo stesso, soltanto un po' più acciaccato, dove negli ultimi giorni del 1954 un giovanotto di belle speranze, timido e riservato, si mise a parlare di affari con un gentiluomo, «gran signore con tanto di fattore che abitava a Brescia e che da quelle parti, lui proprietario terriero, arrivava soltanto alla fine di agosto per andare a caccia». Un incontro che avrebbe segnato la storia vinicola della zona, ma anche la nascita di una azienda, la Guido Berlucchi & C., ad alto indice di notorietà. D'altra parte cinquant'anni, come logica vuole, avrebbero lasciato il segno. Così il vecchio gentiluomo non c'è più mentre quell'intraprendente giovanotto, accattivante personaggio che di nome fa Franco (ma Francesco all'anagrafe) e di cognome Ziliani, è il nuovo padrone di casa. Senza paraventi. Instancabile e divagante narratore, Ziliani non manca di proporsi in tutta la sua schiettezza. Senza paraventi a ombreggiarne il profilo. Ne salta così fuori un personaggio fuori dagli schemi. Incontenibile, «perché la verità bisogna pur tirarla fuori»; concreto, «perché il terreno non è riproducibile e i quattrini non possono stare in due tasche»; ottimista, a dispetto di qualche colpo basso regalatogli dalla sorte. Per non parlare di quel vestito da padre padrone che la vita gli ha cucito addosso su misura. Insomma, un imprenditore a tutto tondo che non manca di tenere banco nel ripercorrere vita, morte e miracoli di quella che è diventata la sua azienda, dopo che se l'era in pratica inventata e l'aveva sostenuta quasi senza saperlo. Una azienda che partita da zero si è andata conquistando una bella fetta di mercato attraverso la produzione e la vendita di "bollicine" per così dire personalizzate a fronte di un obiettivo strategico, peraltro legato a un costoso programma di rinnovamento graduale dei vigneti, che è il miglioramento qualitativo. Così oggi la Berlucchi, accasata nella bresciana Franciacorta, e più precisamente a Borgonato di Corte Franca, dà lavoro nelle sue diverse attività a 106 dipendenti (cui vanno aggiunti 91 mandati, 116 agenti operativi e due capi area) e vende 4,6 milioni di bottiglie a fronte di un giro d'affari 2003 previsto sui 34,5 milioni di euro (cifra che dovrebbe superare i 40 a livello di gruppo). Una società peraltro in continua espansione. Proprio in questi ultimi tempi Ziliani, sborsando sette milioni e mezzo di euro, è infatti sbarcato in Toscana rilevando a Bolgheri, una frazione di Castagneto Carducci in provincia di Livorno, l'azienda vinicola "Caccia al Piano 1868". Il giorno più lungo. Franco Ziliani nasce a Travagliato, in provincia di Brescia, il 21 giugno 1931, «il giorno più lungo dell'anno». Il padre Arturo era un commerciante di vini, «e altrettanto faceva mio nonno». Finite le medie il ragazzo («Ero un pessimo studente») decide di smettere di studiare e il padre lo manda a lavorare in una aziendina che trasportava bestiame. Tutto bene salvo il fatto che si doveva svegliare alle tre del mattino. «Così, come per incanto, mi tornò la voglia di studiare e papà mi spedì ad Alba, dove dopo sei anni di frequenza all'Istituto agrario mi sarei portato a casa un diploma da enologo. A questo punto mio padre si sarebbe ammalato e io dovetti rimpiazzarlo». Alcuni anni dopo arrivò la chiamata di Guido Berlucchi. «Lo incontrai la prima volta al caffè Laglio di Rovato e lì mi invitò a visitare la sua cantina. Mi recai così a Palazzo e nella sedrera mi spiegò che voleva incominciare a imbottigliare il vino bianco. In tutto 60/70 ettolitri, e non erano pochi in quel periodo. Morale, fu simpatia a prima vista e mi diedi subito da fare per comprare le attrezzature». La vendita delle prime bottiglie si accompagnò alle prime soddisfazioni. In parallelo prese corpo l'idea di iniziare a produrre con il metodo champenois e «le tremila figlie iniziali di una terra allora povera di uve sarebbero state partorite nel 1961, dopo vari tentativi infruttuosi». Berlucchi non mancò di apprezzare la bravura di Ziliani e con lui stipulò sulla parola una società di fatto, che avrebbe preceduto di due o tre anni la costituzione dell'Azienda vinicola Guido Berlucchi & C. Snc, con le due quote di maggioranza al 40% nelle tasche del padrone di casa e in quelle di un suo socio attivo in una agenzia di assicurazioni, il ragionier Giorgio Lanciani. «Guido ci aveva messo lo stabile e ci vendeva l'uva, Lanciani amministrava e io, forte del mio 20%, lavoravo come un matto. Ma di quattrini non ne vedevo mai. A questo punto minacciai di andarmene, riuscendo nel giro di un paio d'anni ad allargare la mia quota al 41 per cento». Per farla breve l'azienda cresce («Si era passati dai 40 milioni di lire di prodotto venduto nel 1969 ai 400 e rotti del 1974, con 150 milioni di utili»), si comprano dei terreni, e Ziliani riesce a recuperare da Lanciani un'altra fetta del 10%, diventando azionista di maggioranza. Ed è grosso modo in questo periodo che sarebbe nata la Frazil, «acronimo di Franco Ziliani o Fratelli Ziliani». Questa società di famiglia (il cui 51% fa capo a Ziliani senior e la quota restante risulta suddivisa fra i tre figli) controlla il 38% della Berlucchi dopo che nel settembre scorso è stata rilevata una ulteriore quota del 7 per cento. Il resto dell'azionariato risulta invece così suddiviso: il 20% nelle tasche di Ziliani, un 1% a testa ai figli Cristina (delegata all'organizzazione e alle relazioni esterne), Arturo (addetto alla produzione) e Paolo (attivo nel commerciale), mentre il 31% fa capo alla Fondazione «voluta da Guido, che non aveva figli». Un altro 7,8% figura invece nelle mani degli eredi Lanciani e lo 0,2 in quello di una nostra assistente, Ada Pelloni. I «giocattoli». C'è dell'altro nel pentolone di famiglia. A cominciare da quei rami operativi che la figlia considera come «i giocattoli del padre». Ad esempio l'Antica Cantina Fratta di Monticelli Brusati che, rilevata nel 1979, sarebbe stata riportata agli antichi splendori sia in termini di strutture che in campo produttivo («Quest'anno al nostro Brut 1998 - afferma Cristina, che di questa azienda è presidente - sono arrivati i due "bicchieri" del Gambero Rosso»). Sempre in zona è dislocato l'Hotel "Relaisfranciacorta", integrato nel complesso che ospita il ristorante La Colombara. Senza poi dimenticare La Bollina di Serravalle Scrivia, una struttura polifunzionale in via di ultimazione con albergo, centro congressi, golf e produzione di Gavi doc, ma anche lo sbarco in Salento, ancora in divenire, con la Praia del Sud. «In effetti nei pressi di Gallipoli, dove abbiamo rilevato 500 ettari di macchia mediterranea, stiamo muovendoci su piani differenziati. Staremo a vedere come andrà a finire».

La cuvée con il fregio di Pomodoro

A visitare le cantine Berlucchi, uno sterminato ginepraio di gallerie sparpagliate su 15mila metri quadrati, arrivano in 10mila all'anno. Vuoi dalle scuole alberghiere, vuoi dalle associazioni di sommelier, vuoi dal turismo enologico, ma anche dai non pochi privati che ne fanno richiesta. È un gran bel vedere, partendo dalle vecchie volte costruite nel 1600, o forse prima. Risale infatti al 1500 il palazzo che fu del conte Lana, «un nobiluomo che si dava un gran daffare con le fantesche e dai cui peccatucci sarebbe sbocciata la storia di casa Berlucchi». Il contesto non ha quindi sfigurato nel far da testimone a un matrimonio d'autore organizzato per festeggiare il nuovo millennio. Quello fra 6.175 bottiglie di una prestigiosa cuvée datata 1995 e l'arte di Arnaldo Pomodoro. In questo caso rappresentata da «un fregio festoso e una piccola palla del mondo», frutto di due tecniche di antichissima tradizione, vale a dire la "fusione persa" - utilizzata da Benvenuto Cellini per il suo Perseo - e il "conio". Il risultato? Un connubbio non per tutte le tasche, ma decisamente apprezzato dai collezionisti, soprattutto per le 175 bottiglie arricchite dalla "sfera" di bronzo firmata e numerata. Ed è sempre in queste cantine che dodici milioni di bottiglie riposano e prendono corpo sotto la vigile attenzione di validi tecnici. «Sono infatti loro, alla fine di ogni inverno, a valutare le caratteristiche dei vini ottenuti da Chardonnay, Pinot nero e Pinot bianco e a decidere in quali proporzioni li uniranno fra loro per ottenere una cuvée equilibrata e originale, alla quale sarà aggiunto uno sciroppo composto da vino, lieviti selezionati e zucchero di canna, il cosiddetto liqueur de tirage. Questi lieviti, a imbottigliamento avvenuto, trasformeranno gli zuccheri in alcol e anidride carbonica, provocando nel giro di sei mesi la "presa di spuma", quella che conferisce allo spumante le caratteristiche bollicine». Ma il percorso prima di arrivare all'imbottigliamento sarà ancora lungo.

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