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Il Sole 24 Ore

Il made in Italy perde il 16,6% per il supereuro e la competizione internazionale Le esportazioni vanno a picco ... Il vino "più invecchia più diventa buono", recita un antico adagio. La realtà è un po’ diversa, non solo perché non tutti i vini reggono l’invecchiamento, ma perché i produttori hanno bisogno di vendere. E il contesto italiano e internazionale è tutt’altro che incentivante, al punto che il mercato sta scontando una situazione di scorte in eccesso, nonostante il calo produttivo tuttora in atto: le ultime due vendemmie non sono andate oltre i 45 milioni di ettolitri. Il problema è dunque più che altro commerciale, con il consumatore nazionale che si è fatto guardingo negli acquisti, a causa dei forti rincari del prodotto e della congiuntura economica avversa. A questo si aggiunga l’euro forte e lo spregiudicato arrembaggio dei così detti nuovi Paesi produttori (Australia, California, Cile, Sud Africa, Cina, Argentina, Romania) per molti dei quali l’aggettivo non si addice più. Se questo è il quadro generale, si comprende perché per i vini made in Europe l’interscambio con il resto del mondo ha accusato nel 2003 un appesantimento consistente stimato prudentemente sul 5 per cento. Che nel caso dell’Italia triplica e pure avanza, come ben illustra la sintesi statistica Ice sui flussi all’export. L’input numerico, ancorché essenziale nell’esposizione, la dice lunga sul reale stato di salute dei vini made in Italy, il cui export nei primi 1• mesi 2003 si è fermato a 12,2 milioni di ettolitri, con un crollo del 15,8 rispetto allo stesso periodo del 2002 e la proiezione di salire a -16,6% sull’intero arco dell’anno. Era dall’86, annus horribilis del vino italiano, che non si registravano cadute così ampie e repentine. Caduta che con gli introiti pari a 2,66 miliardi sui 12 mesi (2,8 nel 2002) è stata del 4 per cento. Una prima lettura porta a ritenere che la minore perdita nei valori è conseguenza dei ritocchi sui prezzi di cessione da parte degli esportatori. In effetti questo c’è stato, ma l’analisi sembra corretta solo in parte, mentre prende consistenza la tesi secondo cui il 2003, oltre a essere un anno difficile per tutti, è stato anche l’anno in cui l’Italia ha venduto prodotti con maggiore valore aggiunto. Tale è, infatti, la risposta che si ricava confrontando sia i flussi esportativi per Paese di destinazione, sia il tipo di confezione. Ebbene, nel primo caso l’export di vini made in Italy verso i Paesi Ue perde consistenza, scendendo al 67,7% di 12,2 milioni di ettolitri dal 71,7% dell’anno prima: questi vini sono stati ceduti a un prezzo medio di 1,55 euro per litro. Aumenta invece la quota verso i Paesi terzi (32,3% rispetto al 28,3%), dove si è venduto a una media di 3 euro il litro. La seconda considerazione è in qualche modo la conferma della prima, con i prodotti in recipienti superiori a due litri (prevalentemente destinati ai mercati Ue) che si sono praticamente dimezzati: 1,7 milioni di ettolitri rispetto a 2,8 milioni dell’anno prima. Ne hanno tratto vantaggio i vini in bottiglie, tradizionalmente destinate a un consumatore più esigente e di fatto più care.

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