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Il Sole 24 Ore

Anche il vino deve fare sistema: rapporto della Banca Popolare di Verona e Varese Laboratorio delle imprese ... L’Italia del vino deve fare sistema. Per anni protagonista di molti successi, il mondo del vino oggi si trova ad affrontare un momento tutt’altro che felice. I consumi stentano a riprendersi, i costi di gestione del fare impresa lievitano e per di più la concorrenza internazionale, forte di una più efficiente organizzazione, si fa aggressiva e persino invadente sul nostro stesso mercato. Tutto sembra congiurare contro: l’export 2004 flette (anche se non si può sminuire la crescita del 186% tra il 1991 e il 2003), i valori delle uve subiscono dimezzamenti da una campagna all’altra e per il vino da pronta beva c’è chi farebbe ponti d’oro per venderlo a prezzo di costo. Insomma, un momentaccio. Ma attenzione, guai a rinunciare alla propria missione di vignaioli: sarebbe come commettere l’errore della vita. Certo, «l’Italia del vino ha vissuto anni di grandi successi», mentre ora assistiamo a una sovrapposizione di delusioni. «L’Italia però deve sapere reagire ed evitare oltretutto di lasciare il campo libero a quella concorrenza che «le regole non le rispetta fino in fondo». Il messaggio, forte e propositivo, è arrivato da un personaggio che apparentemente non ha nulla a che fare con il vino: il presidente della Banca Popolare di Verona e Novara, Carlo Fratta Pasini; ed è giunto a conclusione di una tavola rotonda che lo stesso istituto ha promosso e aperto agli imprenditori del settore, nell’ambito del primo seminario "Laboratorio delle imprese" che - ha detto l’ad Fabio Innocenzi - vuole essere un momento di conoscenza, confronto e sperimentazione non fine a sè stesso, che la banca intende promuovere nel settore del vino e di altri comparti produttivi e discutere insieme agli stessi imprenditori. In questo caso l’occasione è stata la presentazione del primo rapporto sul vino ("Crisi di crescita o difficoltà strutturale?") coordinato dall’ufficio Pianificazione dell’istituto coordinato da Marco Berlanda, con il quale è stato possibile arrivare alla individuazione dei numerosi meriti attribuiti al vino made in Italy, ma anche alla messa a fuoco dei pur tanti punti deboli che il sistema si trova a fronteggiare. Tra i primi, l’enorme salto qualitativo del prodotto che, in un decennio, ha dato una spinta incredibile ai vini del territorio con le denominazione cresciute dal 20 al 60%; crescita peraltro avvenuta in concomitanza con una riconversione dei vigneti che ha ridotto di quasi un terzo il patrimonio viticolo e ridotto la produzione vinicola da 70 ai 45-50 ettolitri attuali. Ma il contributo più interessante del rapporto arriva dalla individuazione dei tanti punti deboli che il settore sconta. E che il direttore generale dell’Istituto, Massimo Minolfi, ha indicato nella polverizzazione della struttura produttiva, che a sua volta comporta una serie di problemi tra loro correlati, quali la carenza di massa critica, la poca capacità di sviluppare politiche di marketing, quindi scarsa riconoscibilità dei marchi. Ultimo ma non il minore, la difficoltà e il basso potere che le imprese vinicole hanno di dialogare con le catene della grande distribuzione. Da dove oggi passa oltre il 50% del vino venduto in Italia.

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