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Il Sole 24 Ore

Troppe aziende «bonsai» : il vino italiano perde colpi Il 99,2% delle imprese fattura meno di due milioni di euro ... Il tallone d'Achille del vino italiano? Non è la qualità, che è grande, e nemmeno la quantità, che può variare di anno in anno: è la struttura dell'impresa. Che non è necessariamente misurabile con la sua dimensione, quanto con la capacità di fronteggiare le problematiche industriali e finanziarie. Insomma, se il vignaiolo Angelo Gaja insiste nella teoria del « piccolo resta ancora bello » , il presidente di Unicredit Banca d'Impresa, Mario Fertonani, invita a non sottovalutare il rischio che si corre continuando a restare un settore di nani.
« In Italia - dice Fertonani - su 250mila imprese vinicole solo 430 hanno un fatturato sopra i due milioni di euro, il che significa che il 99,2% sono microaziende » . E con una simile struttura non si va da nessuna parte. Anzi, per Stefano Cordero di Montezemolo, docente di Economia dell'Università di Firenze, « il pericolo è di vedere le aziende intermedie diventare prede di grandi gruppi, soprattutto internazionali » , sempre più alla ricerca di piccole e medie imprese di buona immagine ma scarsamente capitalizzate.

È questa la sintesi del convegno che ieri al VinItaly ha visto schierati alcuni tra i maggiori interpreti dell'impresa del vino ( Piero Antinori, Rolando Chiossi, Piero Mastroberardino, Edoardo Vallarino Gancia) da un lato, e del mondo delle banche ( Pierluigi Corsi di Montepaschi, Giordano Simeoni e Fertonani) dall'altro, intervenuti alla tavola rotonda su " Investire nel vino".

Il dibattito è stato preceduto dalla presentazione dell'Osservatorio finanziario sulle società vinicole italiane curato dal professor Cordero di Montezemolo. Il quale ha messo in evidenza che « nei prossimi anni in Italia il settore vinicolo dovrà affrontare una fase di razionalizzazione con la riduzione delle unità imprenditoriali e una maggiore concentrazione produttiva » , altrimenti rischierà di finire in posizione marginale rispetto alla sempre più agguerrita competizione internazionale.

La ricerca, che ha preso in considerazione un campione di 160 imprese suddiviso in quattro classi da 40 aziende con fatturati da 2 milioni di euro in su, ha focalizzato l'attenzione degli osservatori sul fatto che le imprese più a rischio sono, appunto, quelle intermedie con fatturato da 7 a 13 milioni di euro. Si tratta di aziende che « hanno in generale costi di gestione e capitale investito molto simile a quelle delle piccole imprese, mentre si trovano ad avere posizioni di mercato più comparabili con le imprese maggiori » . Questa situazione non può che comportare un disequilibrio gestionale che si traduce « in maggiori spese commerciali, più costi promozionali, aggravio organizzativo e margini inferiori sul venduto » .

È ovvio che in una simile situazione le imprese vinicole per sottrarsi dalla minaccia di essere acquisite e, comunque, per potere crescere in termini di di capacità competitiva devono potere contare su un alleato finanziario. Che non sia la solita proposta di andare in Borsa, cosa che in qualche modo " spaventa" gli imprenditori vitivinicoli italiani.

E tuttavia sia i banchieri che gli imprenditori hanno convenuto sulla necessità che sistema finanziario e imprese trovino un punto di equilibrio su cui impostare un approccio improntato a una maggiore collaborazione, ancora di più di quanto non sia forse avvenuto finora.

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