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Il Sole 24 Ore

Ora servono regole nuove e più snelle ... La filiera vitivinicola italiana non vive il suo miglior momento, per effetto sia di dinamiche congiunturali sia di tendenze strutturali. Le poderose progressioni dei sistemi produttivi dei Paesi extra Ue impongono una riflessione pragmatica e tempestiva, che tenga conto dei fattori di successo che hanno accompagnato la diffusione nel mondo del vino italiano, che è la prima voce del nostro export alimentare.

Gli elementi su cui negli ultimi 50 anni si sono fondate le strategie di accesso ai mercati sono stati i territori e le marche aziendali. I primi sono stati valorizzati grazie a una chiara scelta in direzione delle denominazioni di origine; le seconde hanno rappresentato l'espressione della creatività e del genio dell'imprenditore entro una gamma di opzioni delimitate da un ambito territoriale. Un fattore di debolezza è rappresentato dalla polverizzazione produttiva che interessa sia gli attori, sia i territori.

Da un lato si registra una distribuzione delle unità produttive sottodimensionata; dall'altro l'evoluzione della normativa di settore, in particolare la legge 164 del 1992, ha favorito la proliferazione di denominazioni di origine, alcune delle quali prive della massa critica necessaria a garantire visibilità sui mercati.

È il momento di dar corso a un'azione concertata da parte di privati e istituzioni, anche a livello europeo, per delineare il quadro normativo idoneo ad affrontare la competizione che è alle porte.

Si è messo mano, negli ultimi mesi, alla riforma della legge sulle denominazioni di origine dei vini. Vi era una forte attesa per una semplificazione. Purtroppo lo schema di riforma che si accinge ad intraprendere l'iter parlamentare non pare rispondere alle attese. Lo snellimento auspicato passava per l'individuazione di una modalità di controllo unitaria, di una banca dati comune alla quale far ricorrere l'organismo di controllo per acquisire le informazioni aziendali utili all'espletamento dei propri compiti. Infine, non pare che l'attuale disegno proponga soluzioni significative al problema della polverizzazione dell'offerta.

In conclusione, un cenno alla normativa europea: una quota non trascurabile della lievitazione dei costi di produzione della nostra filiera, e della conseguente riduzione di competitività rispetto ai sistemi produttivi extra Ue, è derivata dalle scelte operate nel corso degli ultimi decenni entro il regime regolamentare dell'Ocm. L'ambizione di controllare il rapporto tra domanda e offerta dall'interno della sola Europa, attraverso il blocco degli impianti, si è dimostrata velleitaria. I Paesi terzi hanno messo a coltura superfici crescenti e hanno invaso i mercati, anche europei. Nel frattempo, il regime di blocco in agricoltura ha contribuito a far lievitare i valori immobiliari in viticoltura, determinando una minore mobilità dei capitali e un condizionamento nei rapporti con il sistema finanziario.

Piero Mastroberardino

Presidente di Federvini

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