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Il Sole 24 Ore

Ubriacarsi per deliberare… Con rapide carrellate storiche e salti di civiltà, Klaus E. Muller ci accompagna in un viaggio fra usi e costumi alimentari di popoli di età e aree geografiche diverse, dai tempi edenici fino alla progressiva invadente globalizzazione, o come dice iconoclasticamente l’autore, alla mcdonaldizzazione: dal paradiso con latte e miele ai fast food con hamburger e coca cola. Fra i tanti riti di cui parla Muller, alcuni potrebbero essere utilmente praticati dai più litigiosi politici. Si veda per esempio come si comportavano i persiani secondo la testimonianza di Erodono. “Sono molto portati al vino – scrive lo storico antico – e dei più importanti problemi sono soliti discutere in stato di ebbrezza. Quello che della loro discussione è il risultato accetto, viene riproposto il giorno dopo, quando sono sobri, dal padrone di casa, presso il quale si trovino a discutere. Se il loro parere risulta favorevole anche essendo sobri lo mettono in atto. Altrimenti lasciano cadere la cosa. E se hanno discusso qualche problema a mente fredda, lo riprendono in esame quando sono in stato di ebbrezza”. Uso “civile” del vino cui ancora farà riferimento nell’Ottocento Wilhelm Hauff nelle sue “Fantasie nella cantina municipale di Brema”: in quella città i saggi senatori nella sala del senato “bevendo vino ghiacciato, parlavano della salute della città, dei loro vicini e cose simili. Quando non erano d’accordo non si prendevano a male parole ma brindavano insieme fino a quando il vino scaldava i loro cuori. Quando scorreva allegro nelle vene la decisone era presa in fretta, si stringevano la mano, erano e sarebbero rimasti sempre amici, perché erano amici del nobile vino”. Ma non sempre i riti gastronomici e conviviali sono stati così piacevoli: l’autore illustra varie forme di sacrifici rituali cruenti, legati a riti di passaggio (come l’iniziazione alla caccia), al culto degli dei, e alla speranza di immortalità, ricercata anche nel mangiare parte dei corpi dei parenti morti, di solito quelle ritenute più salutari ed essenziali per la sopravvivenza: cuore, fegato, cervello. Poi i modi vanno ingentilendosi, ma restano ovunque fortemente presenti miti e comportamenti ancestrali: così il divieto di disperdere o sprecare cibi essenziali, come il latte, il miele, il vino, i prodotti derivati dai cereali, doni degli dei: ancora oggi far cadere casualmente il vino, l’olio, il pane è considerato di malaugurio e comporta riti di purificazione e di scongiuro. Soprattutto il pane è oggetto di particolare attenzione: secondo miti antichi, i chicchi di grano sono parti della divinità preposta al raccolto e nulla può essere perduto, né i chicchi né i prodotti che ne derivano. Non s i deve sciupare quanto donano gli dei: di qui anche l’interdetto a lasciare qualcosa nel piatto (ancor oggi spesso fatto valere nell’educazione dei piccoli). Peraltro la ricerca di un paradiso perduto, un periodico ritorno alle origini è alla radice del sogno di ricchezze e di benessere, tradizionalmente legato all’abbondanza di cibo: in particolari occasioni, come nelle feste nuziali o a capodanno, la tavola riccamente imbandita sembra potere realizzare, o comunque augurare, la conquista del Paese della Cuccagna. Muller evoca molti altri miti e riti che stanno dietro usi e atteggiamenti ancor vivi con inconsapevole ripetitività: anzitutto il rispetto per le tradizioni patriarcali e locali, viste come modo per assicurare la continuità tra generazioni, la presenza e la protezione degli antenati. Chi non ricorda con nostalgia la cucina familiare della mamma e dei nonni? Forse oggi, nota argutamente l’autore, ne gli dei né gli antenati siedono alla nostra tavola e per questo si consumano piatti cucinati da cuochi sconosciuti in laboratori gastronomici situati in terre lontane. Così l’autore ci conduce dai tempi in cui gli uomini vivevano e banchettavano con gli dei allora tutti vegetariani, ai più duri tempi del lavoro dei campi e della caccia, quando gli uomini divennero carnivori, con vantaggio forse degli dei, golosi delle carni loro sacrificate, e certo degli umani, dei loro corpi e delle loro menti. In un’epoca in cui siamo assediati non solo dalle forze della globalizzazione e dal continuo spuntare nella mappa gastronomica di cuochi creativi che hanno bandito le grandi portate e le salse madri, ma soprattutto dai nuovi miti e dalle icone filiformi, proposti dalle beauty farm, dai dietologi e dalle sfilate di moda, il libro di Muller si presenta come utile promemoria per capire il valore delle tradizioni e dei riti gastronomici e conviviali: aspetti non marginali della nostra storia di uomini e persino premessa dei nostri comportamenti quotidiani (arretrato del 18 dicembre 2005).

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