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Il Sole 24 Ore

Il vino californiano attacca l'Italia ... Non è necessario essere degli esperti per capire che Opus One, il vino a base di Cabernet simbolo della grande enologia californiana, è un ottimo prodotto. Il suo gusto erbaceo non piace a tutti, ma chi ha "naso" è d’accordo sull’elevato equilibrio degli elementi che lo compongono. Il suo difetto è soltanto il prezzo. Che varia da carta a carta, ma non scende mai sotto i 100 euro. Un’eccezione nel panorama dei vini americani o australiani che da qualche anno affollano gli scaffali dei supermercati. Perché se l’Italia è il primo esportatore di vino nel mondo (nel 2005 le spedizioni hanno superato i 14,1 milioni di ettolitri, con un incremento del 10%, per un valore di 2,67 miliardi di euro), le tavole degli italiani si colorano sempre più di bandiere straniere. Il flusso di bottiglie che arrivano dai nuovi Paesi produttori, infatti, ha assunto dimensioni importanti, al punto da chiudere gli 11 mesi del 2005 a 170 milioni di litri. La parte del leone, però, non la fa la Francia, ma gli Stati Uniti. Anzi la California.
Tra il 2003 e il 2005 l’import dagli Usa è passato da 277mila litri a 50 milioni di litri, con un incremento che sfiora il 18mila per cento e con il peso degli Stati Uniti sul totale del vino importato dall’Italia che è balzato dallo 0,17% al 29,6 per cento. Ma in crescita sono anche le importazioni da Sud Africa, Romania, Australia e Argentina.
Insomma, gli Stati Uniti non solo tendono ad aprire sempre più la loro tavola ai sapori del made in Italy (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri), ma riescono a convincere un numero crescente di consumatori di casa nostra a bere California.
Quali sono i fattori di questo successo? Al di là del gusto e del prezzo, uno dei motivi che ha agevolato la crescita vitinvinicola dei nuovi Paesi è la grande disponibilità di terre vergini e facilmente coltivabili. Con il risultato di arrivare al break even molto prima di quanto sia necessario per le imprese del made in Italy.
Ma c’è un altro capitolo a vantaggio dei produttori californiani o australiani rispetto agli italiani: sono le norme che definiscono i confini di intervento e regolamentano la produzione di vino. Le leggi europee stabiliscono come, quando, cosa piantare e quanta uva deve rendere la vite. Altrove non esistono limiti; come non ci sono freni alle pratiche enologiche, procedure, tecniche e modelli produttivi che variano di molto tra la vecchia Europa e i Paesi stranieri, con il risultato di rendere il costo finale della bottiglia più competitivo. Così, i processi di "ultrafiltrazione con colonne rotanti" oppure di "scambiatori anionici", alla fine fanno differenza. E sulle tavole degli italiani si beve sempre più straniero. (arretrato del 26 febbraio 2006)

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