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Il Sole 24 Ore

Il postfordismo vince nelle Langhe … Nell’86 si producevano 76,8 milioni di ettolitri, oggi solo 47,5 milioni. Allora i vini con produzione certificata erano 287, oggi sono 455. La produzione stimata in euro, era allora di 2,5 milioni e oggi è di 9 miliardi. Prima si esportava per 800 milioni e oggi per 2,8 miliardi. Qualcuno ne ha fatto un paradigma: il vino come metafora del passaggio dalla quantità alla qualità. Mi pare un esempio calzante alla crisi del capitalismo italiano. Oggi in deficit di quantità nella globalizzazione, il capitalismo è alla ricerca della qualità per vincere la sfida. I numeri del rinascimento del vino italiano danno ragione agli imprenditori. Vent’anni fa ogni ettaro di terreno doveva produrre più di cento quintali di cereali. Così facevano anche per i lvino. E dove non ci riusciva l’uva, avanti con la chimica. Oggi un ettaro di barolo produce molto meno, ma nessuno lo vende visto che vale circa un milione di euro. Per questo si sente forte chi oggi guarda le colture estensive della pianura dalle colline delle Langhe. Ha resistito negli anni in cui in basso si compiva il passaggio alla moderna e fordista azienda meccanizzata. L’insieme di questi elementi di ritardo sono stati funzionali a imporre la Langa come marchio territoriale di prodotto e di rilancio della qualità. Certo, l’agricoltura non è stata ferma. Si è fatta azienda multifunzionale. Magari ancora a conduzione familiare, ma con um mix di prodotti e servizi e anche con un po’ di produzione di energia dalle biomasse. Tanto per fare un esempio, in questo inverno di freddo intenso basta citare il boom delle stufe a pallet o a granturco. Migliaia di agricoltori, dentro la crisi, si sono posti il problema di come raggiungere il consumatore. E’ il passaggio, teorico e pratico dalla catena del valore che monitorava quello che avveniva dentro le mura dell’azienda a una logica da “ragnatela del valore” che incorpora i gusti e le tendenze del consumatore finale. Le aziende multifunzionali se li sono addirittura portati in casa: l’agriturismo ha avuto nel 200 tre milioni di ospiti, dei quali 600mila stranieri. Le aziende che offrono questo servizio sono cresciute del 53% dal ’99. Con un giro d’affari di 800 milioni di euro. Non è stata un’evoluzione lineare e bucolica. Tutto è avvenuto per balzi e crisi. Dopo il metanolo (con lo scandalo scoppiato giusto vent’anni fa) c’è stata mucca pazza. Ma anche qui, come per il vino, ci ha salvato la chianina postfordista. Razza antica e a rischio d’estinzione che, rispetto ai vitelli gonfiati della produzione standardizzata, ha fatto un balzo sia negli animali allevati (+34%) che nel numero degli allevamenti (+62%). E dal 2000 è aumentato del 24% il prezzo pagato agli allevatori con un profitto del 34% rispetto alla carne standardizzata. Non è un modello che si trova solo nelle Langhe o nella Tuscanyshire di gran moda in America. E’ un modello diffuso. Dalla Pedemontana lombarda, dove Vittorio Moretti – dopo aver creato cinque aziende nella filiera edilizia – ha investito nell’azienda agricola Bellavista e con Gualtiero Marchesi ha fatto della Franciacorta un polo del buon vivere. Investe anche in Toscana e chiama grandi nomi dell’architettura come Mario Botta a progettare cantine. A Montefalco, in Umbria, il figlio di Arnaldo Caprai, leader nella filatura del cashmere, ha investito su un vitigno di 500 anni fa. Il Sagrantino di Montefalco si produceva marginalmente solo per la Pasqua: oggi con 150 ettari di vigneto produce 700mila bottiglie e fattura 5,5 milioni di euro. Così come in Sicilia negli anni 80 un’azienda agricola che produceva 400 quintali per ettaro di vino da taglio si è data un marchio, Donnafugata, e ha ridotto la produzione sugli 80 quintali per ettaro, ha investito nella tecnologia del freddo per la fermentazione dei mosti a temperatura controllata che esalta e conserva i profumi del vino. Oggi è un’azienda da 14,5 milioni di fatturato, due milioni di bottiglie che vanno in 40 paesi: Germania e Usa in testa, ma a doppia cifra cresce l’export in Russia, Corea e Cina. Cambiano le forme e i modi del produrre e anche quelle del fare rappresentanza in una società ove non conta solo il produttore ma sempre più il consumatore. Anche qui l’agricoltura insegna: Franco Pasquali della Coldiretti rivendica di aver inventato i Patti Chiari con il consumatore ben prima della potente associazione bancaria italiana. Forse perché come insegnano il metanolo e mucca pazza, qui la crisi della fiducia era arrivata prima che in banca. (arretrato de "Il Sole 24 Ore" del 12 febbraio 2006)

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