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Il Sole 24 Ore

“Bio cosa“?.”Biologico“?. “No biodinamico!“. A questo punto sale il silenzio quando l’argomento tocca il vino o anche altri cibi, quali l’ orto frutta.

Il manipolo di produttori biodinamici (quelli veri per intenderci e non quelli millantati per moda) di bianchi o rossi in Italia sono tuttora molto rari; la rappresentanza è più consistente in Francia, ma c’è una crescita soprattutto per l’ interesse dei consumatori sempre più in stato confusionale per gli scandali alimentari.

E’ importante chiarire subito che non esistono vini biodinamici, bensì uve ottenute da terreni trattati con metodo biodinamico, così come ci sono viticoltori con uve certificate Demeter (marchio internazionale che concede il sigillo, dopo tre anni di coltivazione biodinamica dei terreni) ma tradizionali in cantina con l’uso di lieviti ed enzimi naturali Ogm free.

Questa “scienza filosofica“ che , in qualche modo si rifà al pensiero dell’austriaco Rudolf Steiner considera la terra un organismo vivente, tenuto conto dell’interdipendenza fra regno minerale, vegetale, animale e umano e della loro complessa corrispondenza con i ritmi e le attività del cosmo.
La lettura delle azioni e dei ritmi offre la possibilità di decidere quanto mettere a punto il terreno, la semina, la coltivazione e la vendemmia con grandi vantaggi. La concimazione è un aspetto cruciale (il letame a cui vengono aggiunte erbe, viene conservato in un corno di mucca dinamizzato nell’acqua tiepida) , di un modo di pensare che vede la fattoria come autosufficiente. Ovviamente sono banditi tutti i trattamenti chimici: diserbanti, pesticidi e concimi.

Pochi sono i viticoltori biodinamici “fondamentalisti“ in Italia: l’iniziatore negli anni’ 80 viene individuato in Luigi Brezza di San Giorgio in Monferrato, quindi Stefano Belotti di Cascina degli Ulivi di Novi Ligure, produttore di Gavi Filagnotti di Tassarolo, Barbera Moubè, Dolcetto Nibio, l’azienda “La Raia“ di Novi Ligure di Giorgio Rossi Cairo, condotta dalla figlia Caterina e dal marito Tom Dean, produttori di Gavi (Gavi Pisè , Gavi terrebianche e barbera) la Nuova cappelletta di Vignale Monferrato. Nel tempo anche produttori un “tradizionali“ quali, Cascina la Pertica di Polpenazze del Garda hanno sposato i metodi biodinamici, così come per una parte della produzione l’azienda Querciabella.

Non si dichiarano biodinamici, ma gruppo “vini veri “, di cui fanno parte i produttori-viticoltori (il friulano Stanko Radikon, il toscano Fabrizio Niccolaini di Massavecchia, il veneto Giampiero Maule, l’umbro Giampiero Bea, i marchigiani Casolanetti e Rossi di Oasi degli Angeli) che hanno sottoscritto un protocollo per garantire la naturalezza dei loro bianchi e rossi con un insieme di regole che vanno, tra l’altro, dall’esclusione di diserbanti e concimi chimici, viti ogm free, trattamenti in vigna contro le malattie ammessi dalle norme dell’agricoltura biologica, raccolta manuale etc. Le regole sono estese alla cantina, dove, tra la’ltro si escludono la chiarificazione, uso di lieviti non indigeni etc.

In questo panorama “naturale“ c’è anche chi , come Alessandro Sgaravatti (Castello di Lispida di Monselice) produttore di Amphora, e di Terraforte segue il pensiero di M. Fukuoka, microbiologo giapponese, applicando la non azione nei vigneti, cioè a dire non si lavora il terreno a partire dal secondo anno dell’impianto. L’uva poi fermenta in tini di legno aperti o in anfore di terracotta sepolte. (arretrato de Il Sole 24 Ore del 26 marzo 2006)

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