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Il Sole 24 Ore

Le aree emergenti - «Il bouquet? Da affinare». Con 450mila ettari Pechino è il quarto produttore mondiale ... Il made in China del vino incassa i primi successi: dieci anni fa era un prodotto semisconosciuto e consumato da classi agiate, oggi è un prodotto su cui Pechino sta puntando molto. Questo spiega i 450mila ettari di vigneti oggi in produzione, che fanno della Cina il quarto produttore mondiale. Senza perdere di vista la finanza, come dimostra l'inserimento nell'indice Mediobanca di due gruppi: il primo è Dynasty, una joint nata molti anni fa con i francesi di Remy Cointreau ma approdata alla Borsa nel gennaio 2005, il secondo è la Yantai Changyu, partecipata dall'italiana Illva di Saronno. Confermata questa attenzione e considerata la limitata diffusione del consumo di vino nella dieta del consumatore cinese, non è difficile prevedere che entro breve tempo sulle tavole occidentali arriveranno bottiglie di vino rosso o bianco made in China. Qualche campione è già arrivato, e al VinItaly di Verona già c'è aria di attesa per lo stand cinese. Intanto gli operatori hanno iniziato ad analizzare il nuovo fenomeno considerando anche l'eventuale concorrenza con i prodotti europei e italiani. Un esperto è Mattia Vezzola, enologo di fama, con all'attivo il successo mondiale di Bellavista, l'azienda di Franciacorta dell'imprenditore Vittorio Moretti. Reduce dalla Cina, Vezzola parla di vini «che presentano buone tonalità del colore anche dopo quattro-sei anni, sempre che l'annata dichiarata - afferma - sia veritiera. Colore scarico ma con buone tonalità per i rossi, mentre i bianchi hanno profumi leggeri, non complessi e poco significativi». L'enologo italiano pur apprezzando l'attenzione che la scuola cinese dedica all'innovazione, si dice comunque convinto che «mancando una tecnologia di processo appropriata e d'avanguardia, per questi vini sarà difficile ottenere l'eccellenza sotto il profilo gusto-olfattivo». Aspetti cioè che il consumatore europeo o americano tiene in grande considerazione.

Le aree emergenti - Due cinesi tra i big mondiali

Nell'Italia del vino a prevalere sono sempre le aziende di famiglia, ma le prime tre società per fatturato sono cooperative: Caviro, Giv e Cavit (le prime due superano i 250 milioni di euro e la terza arriva a 160 milioni). Il primo privato è Antinori di Firenze (quarto con 116 milioni) seguita a una incollatura dalla piemontese FG-Giordano specializzata nella vendita per corrispondenza. Nessuno di questi gruppi è quotato in Borsa. Ben diversa è la situazione a livello mondiale. Un capitolo del focus Mediobanca è dedicato alla realtà internazionale, in particolare alle società quotate: sono 39 quelle analizzate. Del gruppo non fanno parte società italiane: Campari e Santa Margherita quotate a Milano hanno una prevalenza di affari in settori collaterali al vino. Ci sono due gruppi cinesi: Dynasty, e Yantai Changyu che tra l'altro è una partecipata del gruppo italiano Illva di Saronno.
Le indicazioni emerse dall'indice Mediobanca è che il valore delle azioni delle società vinicole internazionali a fine febbraio 2006 era in crescita del 71,3% rispetto ai valori di inizio 2001. Relativamente alle società, i mercati che hanno segnato le variazioni più consistenti nei quattro anni esaminati sono stati gli Usa (+167,9%), il Canada (+159,3%), seguite dal Cile (+79%), Francia (+71,6%), Spagna (+45%). Meno marcata la crescita australiana (+25%), che addirittura si porta in territorio negativo (-34%) se si confrontano le performance al l'andamento della borsa locale.

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