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Il Sole 24 Ore

Cusumano, studi milanesi per il rosso di Sicilia … Saranno stati i mesi passati in Bocconi per preparare la tesi in "reengineering", ma quando Diego Cusumano si diverte a rispondere con l'accento milanese al centralino dell'azienda vinicola di famiglia a Partinico (Palermo), tutti ci cascano. Anche perché, in fondo, lui e il fratello Alberto un po' "milanesi" lo sono. Almeno in quella che è l'accezione comune dell'efficientismo meneghino. «In azienda siamo sempre i primi a arrivare e gli ultimi a spegnere la luce», ride Diego Cusumano, 35 anni, mentre abbraccia con calore il dealer giapponese che quest'anno gli ha portato un incremento di vendite del 45 per cento.
Lo stand del Vinitaly è di un bianco accecante. Minimalista, sobrio, infiammato solo a tratti dai colori vivaci dei quadri di una giovane artista siciliana. Davanti a un bicchiere di Nero d'Avola ti aspetti un racconto appassionato: i colori della nostra terra, la tradizione, la passione, che come il vino scalda i cuori. E invece questo siciliano sottile ti parla di impresa, politica del marchio, modernità. Racconta un'azienda giovane, dove l'età media è sotto i quarant'anni, e i numeri parlano da soli, con un fatturato cresciuto dieci volte in cinque anni, da poco più di 1,6 a 10,4 milioni di euro.
«Mio padre produceva mosto concentrato - racconta Cusumano - fino a vent'anni fa la Sicilia era il serbatorio d'Europa per i vini da taglio. Io ho studiato Economia e Commercio e il giorno dopo la laurea ero operativo in azienda. Con mio fratello Alberto abbiamo pensato che fosse giunto il momento di cominciare a fare i nostri vini». Poiché dei siciliani hanno l'orgoglio ma anche la lungimiranza, i fratelli Cusumano chiamano a Partinico, sulla strada da Palermo ad Alcamo, due giovani tecnici piemontesi, investono negli impianti e acquistano vigneti. Tredici milioni di euro impegnati per passare da 140 a 400 ettari, dove si coltivano vitigni autoctoni (in primo luogo quel Nero d'Avola simbolo per eccellenza della riscossa enologica siciliana) e le star del gusto globalizzato, i Merlot e gli Chardonnay premiati dai palati di mezzo mondo.

Oggi dalla cantina escono due milioni e mezzo di bottiglie, con undici etichette, «perchéanche la dimensione è importante, deve esserci massa critica».
I vini Cusumano vanno per il 50% all'estero e hanno visto un'importante crescita negli Stati Uniti. «Quando ha cominciato a delinearsi il nostro progetto imprenditoriale - ricorda Cusumano - ho fatto il giro del mondo, sono stato dappertutto per vedere quali fossero i marchi siciliani conosciuti e quale il loro posizionamento. Avevo le bottiglie in valigia, ho raccontato i nostri vini a ristoratori americani che mi davano al massimo cinque minuti e ho scovato un distributore che ora ci sta lanciando in Sudafrica. Ancora oggi viaggio sette mesi l'anno, per seguire i partner da vicino. Il vino va trattato alla stregua dei beni di lusso, ha bisogno di un brand affermato». E qui parla il bocconiano. «Vince il progetto, non un singolo vino, altrimenti parliamo di hobbysmo».

Intanto regala sorrisi e quadernetti per gli appunti di carta riciclata in un ventaglio di tonalità pastello, sembra quasi di stare in qualche stand di design del concomitante salone del mobile milanese. Ti viene da chederti se non sia troppo. Troppo perfetto, troppo manageriale. José Rallo promuove i suoi vini di Donnafugata cantando con una jazz band, Diego organizza la presentazione del "buon gusto siciliano" con tre grandi chef dell'isola nelle officine della Porsche in Germania. Ma invia ogni mese una cartolina a tutti i suoi distributori stranieri, perché «èpiù romantica delle e mail». E dopo aver predisposto con teutonica precisione le visite dei clienti nelle cinque aree di produzione, chiede all'amica elicotterista di fargli scoprire dall'alto «l'incredibile varietà di questa terra», dalle colline bianche e argillose di Butera ai boschi e ai laghi di Ficuzza.

È ottimista sul futuro del vino siciliano, anche se convinto che «quando il marchio Sicilia avrà finito la sua corsa, andrà avanti solo chi è riuscito a costruire un'identità forte». Aziende di qualità, ribadisce, «ma non di nicchia», appetibili per i dealer americani da duecento e più agenti. Che certamente apprezzano un workalcholic come lui. (arretrato dell’11 aprile).

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