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Il Sole 24 Ore

Un maxi-prestito per il Chianti ... Viticoltura. Lunedì la firma dell’accordo: sono 2.600 le imprese potenzialmente interessate Dalle banche finanziamenti per 250 milioni di euro per ristrutturare i vigneti... L’appuntamento è per lunedì mattina 26 marzo in quella che fu la casa di Nicolò Machiavelli, esule fiorentino confinato a Sant’Andrea in Percussina, nel comune di San Casciano. L’incontro servirà al presidente del Consorzio del vino Chianti Nunzio Capurso, ai delegati della Regione Toscana e ai rappresentanti di una ventina di banche per firmare un contratto di 250 milioni di euro utilizzabili in conto interessi entro la metà del 2010 e rimborsabili sino a 15-20 anni.
Il prestito è riservato a imprese agricole, cantine private, cooperative e aziende terze iscritte all’albo del vino Chianti Docg che nei prossimi tre anni intendono attuare un piano per riconvertire i propri vigneti, oppure ristrutturare gli impianti di trasformazione delle uve, ovvero riorganizzare la rete vendita.
Serve anche ad “agevolare” il ricambio generazionale degli imprenditori agricoli; a riequilibrare la struttura finanziaria e assicurare la necessaria liquidità delle imprese stesse anche per iniziative finalizzate alla promozione. E, soprattutto, a “favorire” la razionalizzazione, la concentrazione e la crescita dimensionale delle aziende viticole.
La convenzione “Progetto Chianti”, che agli osservatori è parsa subito essere una delle più liquide che sia mai stata congegnata nella storia della vitivinicoltura nazionale, coinvolgerà quasi tutte le 2.600 aziende iscritte al Consorzio (su 5.500 che producono Chianti) per oltre un terzo della superficie complessiva. Vale a dire 5mila ettari “i cui vigneti - sottolinea il presidente del consorzio Capurso - necessitano di essere riconvertiti perchè hanno un’età superiore a 25-30 anni, oppure si tratta di vigne piantate seguendo modelli di allevamento non più funzionali a quelle che sono le metodiche di una viticoltura razionale e che oggi costituiscono condizione necessaria per poter produrre vino di qualità ed essere competitivi sul mercato”.
Tra gli istituti di credito che hanno partecipano alla convenzione ci sono praticamente tutti i nomi delle grandi e meno grandi banche nazionali e anche istituti di dimensione locale. I prestiti verranno concessi a fronte di tassi di interessi che possono variare a seconda del progetto, della durata e del percipiente e, comunque, si tratta sempre di un saggio agevolato oscillante tra lo 0,7 e l’1,55 per cento sull’Irs-Euribor.
Sul fronte dei finanziamenti riservati alle piccole e medie imprese, Fidi Toscana e Artigiancredito Toscano agiscono da enti fideiussori concedenti cogaranzia per una copertura che può estendersi fino all’80% del valore dell’operazione. I cui importi massimi possono arrivare anche a due milioni di euro. La presenza dei ConsorziFidi e la durata dei prestiti costituiscono, a detta del presidente dei vignaioli del Chianti, un elemento incentivante e di forte impatto sul territorio. Nel senso che essi “permettono alle imprese che decidono di accedere alle linee di credito di non distrarre risorse proprie dalla gestione aziendale”.
Per accedere al prestito è necessario che i vigneti siano iscritti agli albi del Chianti, dei Colli dell’Etruria centrale e Vin Santo del Chianti e siano associate al Consorzio di tutela. In sostanza operino in una delle province toscane che partecipano a formare uno dei poli viticoli tipici del made in Italy più conosciuto a livello internazionale. E un fatto che su una produzione di Chianti Docg che oscilla mediamente tra 750mila e 80mila ettolitri per un valore di 450 milioni di euro, il 70% matura sui mercati esteri.
Nonostante questo vantaggio mercantile e di immagine globale, la struttura dell’azienda chiantigiana rispecchia in tutto gli ambiti caratteristici dell’impresa viticola nazionale. Vale a dire una dimensione parcellizzata in cui delle 5.500 aziende, un migliaio sono quelle che dispongono meno di un ettaro di vigneto specializzato, 800 arrivano a 5 ettari, 200 hanno da 5 a 10 ettari, meno di 100 gestiscono da 20 a 50 ettari e dieci dispongono di 50 ettari in su.
Una frammentazione che si presta a una doppia e contrastante considerazione, nel senso che se è vero che il piccolo contribuisce ad assicurare continuità alle produzioni di nicchia, è altrettanto vero che restando piccoli si corre il grosso rischio divedere disperso un patrimonio esclusivo. Che l’impresa più strutturata può tutelare e promuove al meglio.

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