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Il Sole 24 Ore

Caprai: “Con la genetica ho salvato il Sagrantino” ... Vino & ricerca. L’innovazione ha rilanciato i vigneti umbri di Montefalco... “Il vino è la poesia della terra”, diceva Mario Soldati. Ed è una citazione che ben figurerebbe nel progetto Bottled poetry (poesia in bottiglia), una delle ultime trovate di Marco Caprai, delle cantine Arnaldo Caprai di Montefalco, nel cuore dell’Umbria. Sui tappi delle migliori bottiglie del suo Sagrantino, il vino che ha reso la sua azienda agricola famosa nel mondo, Caprai fa imprimere una serie di citazioni, d’autore sul vino, da Martin Lutero (“La birra è fatta dagli uomini, il vino da Dio”), a Pascal (“Cè più sapienza in una bottiglia di vino che in tutti i libri scritti dall’uomo”). Ma le divagazioni filosofiche e religiose sono solo l’ultimo tassello del progetto di Marco Caprai, 42 anni, che nel 1988, fresco di laurea in scienze politiche, accettò la proposta del padre di occuparsi dell’azienda agricola di famiglia. Nel 1990 i ricavi delle cantine Caprai erano di 500mila euro per 400mila bottiglie vendute: oggi il fatturato è più che decuplicato, ma la produzione non è aumentata in proporzione, ogni anno vengono vendute meno di 700mila bottiglie.
L’aumento del giro d’affari è dovuto esclusivamente alla qualità: Marco Caprai si è innamorato di un antico vino della zona, il Sagrantino, e lo ha letteralmente salvato dall’estinzione, trasformandolo allo stesso tempo da “popolare” a super raffinato. Nel 1970 erano rimasti meno di 10 ettari di vitigno del Sagrantino, oggi sono oltre 700.
“Quando ho scelto di occuparmi dell’azienda, nel 1988, erano passati appena due anni dallo scandalo del vino al metanolo: ci furono decine di intossicati, 19 morti e un danno al settore, in tutti i sensi, incalcolabile - racconta Marco Caprai -. Oggi l’Italia produce il 37% in meno di allora ma si è alzata moltissimo la qualità. Iniziare dopo uno scandalo del genere ha avuto i suoi svantaggi ma anche un lato positivo: abbiamo cominciato da zero, come un pittore quando si avvicina a una tela bianca. Sta a lui creare il capolavoro, quasi dal niente. Anche se - ride Caprai - nel nostro caso il niente era un patrimonio storico e generico che andava “solo” risuscitato”.
Nel 1989 Caprai e i suoi collaboratori iniziarono a censire le viti di Sagrantino sopravvissute nell’area di Montefalco. “Poi siamo passati alla selezione: non cercavamo la pianta più bella, alta, forte, “muscolosa”, anzi: volevamo mantenere la varietà. Oggi abbiamo vigne dove c’è equlibrio tra le caratteristiche, dove ogni pianta ha una sua personalità”.
Il lavoro è stato fatto in collaborazione con la facoltà di agraria dell’università Statale di Milano. “Per me ricerca e innovazione sono parole sacre e per questo mi sono un po’ stupito delle difficoltà che abbiamo avuto quando abbiamo cercato di stabilire un rapporto con l’università di Perugia, che mi sembrava l’ateneo ideale con cui condurre le nostre ricerche - ricorda Caprai -. Ma la cosa non ha funzionato: forse ci sono ancora delle difficoltà a vedere l’agricoltura come un campo di ricerca interessante. L’immagine resta quella di un’industria che produce quantità, non qualità. Comunque sia, abbiamo instaurato un ottimo rapporto con l’università di Milano e abbiamo già in cantiere altri progetti”.
Ad esempio? “La meteorologia è un altro fattore importantissimo nel nostro mestiere. Ma non possiamo fare molto per controllare il tempo, è meglio se ci concentriamo sui possibili effetti: per questo stiamo studiando la micrometeorologia, per vedere che conseguenze ha un cambiamento climatico su ogni pezzetto di terra e quindi di vigna. Monitoriamo le differenze nel fogliame, nel colore, nelle grandezza degli acini d’uva”.
E la questione del terroir, spesso sollevata dai francesi?
“Non credo sia una battaglia cruciale: il nostro Sagrantino è legato al nostro territorio, ma non posso escludere che, se coltivato con lo stesso amore e la stessa passione, il vitigno possa dare un buon vino anche lontano da Montefalco”.

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