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Il Sole 24 Ore

Il pericolo vero? Può essere oltre Manica ... Mentre ovunque nel mondo il termine “recessione” torna sempre più spesso nei media e tra la gente suscitando preoccupazione, la parola “lusso” sembra fuori della mischia, quasi non coinvolta da ciò che sta succedendo. Così allo stesso tempo il vino di fascia medio-bassa segna “rosso”, mentre lo champagne, vino di lusso, continua a essere stappato in ogni angolo del pianeta.
Le bollicine francesi, inventate dal frate beone, Dom Perignon, rappresentano appunto la fascia di consumo alta, soprattutto oggi che il gotha delle maison di Reims ed Epernay sono possedute, guarda caso, dalle griffe più prestigiose della moda. La crescita inaspettata di domanda di champagne dai Paesi un tempo poveri, oggi forti di una minoranza ricca oltre misura (India, Russia e Cina) ha messo in difficoltà i produttori francesi, nonostante quasi 330 milioni di bottiglie prodotte con una crescita senza soluzione di continuità.
Ora il Civc (Comité interprofessionel du vin de Champagne), ente che controlla da anni ogni fase della filiera con grande rigore e attenzione, ha preso in considerazione la possibilità di allargare la denominazione a 40 nuovi villaggi. C’è da aggiungere che nelle vigne della Champagne è stato autorizzato per cinque anni un aumento della resa per ettaro dai 3.400 ai 5.500 chilogrammi (sebbene una parte di questa produzione debba essere tenuta di riserva).
Di fronte a questa riforma, molti si chiedono i riflessi sulla qualità dello champagne. Che dire? Fare l’indovino con il testevin al posto della sfera di cristallo non è facile, ma se è pur vero che si produrranno 155 quintali per ettaro ci sono però 10mila piante per ettaro per cui la produzione è di circa 1,5 chilogrammi di uva come massimo.
Magari fosse così anche altrove. Inoltre le griffe più blasonate non è detto che arrivino ai limiti imposti. Su questo aspetto non vedo nero, anche perché i produttori francesi di champagne e il Civc hanno mostrato in questi annidi difendere molto bene il loro patrimonio. L’allargamento ai 40 villaggi è una minaccia alla verginità delle bollicine? Questi municipi non sono collocati alla periferia di Parigi o ai piedi delle Pirenei, ma distribuiti nella Valle della Marne, nell’Aube e nell’Aisne, territori già dediti alla produzione.
Piuttosto il pericolo allo champagne arriva (siamo in piena futurologia) dal cambiamento climatico e dall’effetto serra che potrebbe spostare la produzione a nord, oltre Manica dove il sottosuolo calcareo del sud dell’Inghilterra presenta peculiarità simili alla Cote de Blanc. E, a quanto risulta, i francesi stanno colà acquistando terreni. Ebbene: in Inghilterra, dagli anni 90, alcune aziende locali (Nyetimer, Ridgeview) hanno cominciato a produrre con successo sparklingwine. Non solo, ma cominciano a sorgere alcune leggende che mettono in dubbio addirittura la primogenitura di Dom Perignon a cui gli inglesi contrappongono tale Cristopher Merret, fisico e naturalista che illustrò alla Royal Society la pratica dei produttori di vino inglesi di introdurre melassa e zucchero nel vino per renderlo frizzante.
Chi l’avrebbe mai detto che un giorno avremmo bevuto bollicine inglesi? Insomma, dopo lo champagne che ci impedisce di usare il termine “metodo champenoise”, di cui ci sono tracce storiche di un’invenzione italiana, in futuro il nostro spumante metodo classico avrà un nuovo concorrente oltre Manica.

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