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Il Sole 24 Ore

Per gli enologi una carriera sicura ... Uno dei più importanti e famosi enologi del mondo, consulente per ben 60 azien­de che spaziano dall’Italia all’India, passando per Fran­cia, Stati Uniti e Israele, lui stesso proprietario di un’azienda di successo, dodici fidati e insostituibili collabora­tori, questo è Riccardo Cotarella. Dopo essersi fatto le os­sa nelle cantine dell’Orvientano parte alla volta dell’Ameri­ca, ed è subito successo: si gua­dagna il titolo di “wizard”, il mago delle alchimie degli uvaggi. “Devo molto, anzi mol­tissimo - dice - ai miei amici americani, da loro ho impara­to a presentare un vino, a co­municarlo, a descriverlo. Ma nessuno sa meglio di loro che l’enologia non è il mondo di Harry Potter, ma quello della scienza, della cultura, dell’esperienza e della passio­ne. Non esistono formulette per fare un buon vino ma buon senso innanzitutto”.
Un’esperienza esaltante che Cotarella non solo consi­glia ai giovani ma anzi dice: “Faccio di tutto per convince­re i ragazzi che si avvicinano al vino a intraprendere la car­riera di enologo. Caratteristiche indispensabili: passione smisurata, umiltà, rispetto per i produttori, conoscenza sostanziale del territorio e del mercato”. Anche perché per la “generazione 1000 euro” un altro aspetto da non sottovalu­tare è il guadagno. “Il mio pri­mo stipendio - racconta nel ’68 fu di 87mila lire, pratica­mente un sogno. Oggi? Niente cifre. Basta dire che il guada­gno è proporzionale a impe­gno e risultati”.

Nel mondo dell’enologia il nome di Cotarella è talmente diffuso che si parla addirittura di “cura Cotarella”. “Un modo di dire - spiega - o forse solo di semplificare un approccio alla professio­ne, ma se proprio vogliamo dargli un significato si po­trebbe tradurre in dedizione totale al lavoro, nell’ostinata ricerca dell’innovazione. Ma soprattutto nell’essere lonta­no da quelle scuole di pensiero scambiate erroneamente per “tradizione”, la cui frase ricorrente è “faccio il vino co­me una volta”, sapendo bene di mentire solo per compia­cere qualcuno, allora sì, an­che se in maniera un po’ im­propria, possiamo parlare di “cura Cotarella””.
A determinare la centralità dell’enologo è secondo Cota­rella l’approccio necessaria­mente strategico a questo tipo di produzione. “Perché - spie­ga - in questo settore non si im­provvisa più nulla, ci occupia­mo di quello che io chiamo “progetto vino” e quindi di tut­to quello che c’è tra il terreno e la tavola apparecchiata. E se è vero che a volte la sua immagi­ne è troppo enfatizzata, l’eno­logo ha contribuito, in manie­ra determinante, insieme alla nuova generazione di produt­tori, a dare visibilità a territori che fino a poco tempo fa veni­vano ghettizzati sotto la voce “non vocati””.

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