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Il Sole 24 Ore

Lo Iar di Aosta salva i vitigni rari ... Ricerca. Riscoperte cinque varietà...
Una banca del geroplasma dedicata alla raccolta e al recupero di vitigni autoctoni a rischio estinzione. E poi, studi di zonazione e gestione delle vigne, analisi fisiologiche e chimiche della vite, dei vini e dei mosti, attività di microvinificazione e microbiologia dei lieviti enologici. Oltre alla normale gestione della cantina, con relativa produzione e vendita del vino. C’è questo e molto altro nel piano di lavoro dell’Istituto agricolo regionale valdostano (Iar), uno dei pochi nella Penisola a occuparsi in modo specifico di sperimentazione viticola ed enologica. Oltre che frutticoltura, zootecnia e di trasformazione lattiero casearia.

Ma è grazie al progetto “banca” che è stato possibile riportare alla luce rare cultivar viticole finite nel dimenticatoio, tra cui Fumin, Mayolet, Premetta, Cornalin e Vuillermin. Si tratta di vitigni a bacca rossa della famiglia dei Nebbioli, di cui si erano perse le tracce già a inizio del secolo scorso e che ha suscitato l’interesse di agronomi nazionali e internazionali. E anche del quotidiano americano di economia e finanza “The Wall Street Journal”, che alle scoperte dei ricercatori dello Iar ha dedicato nei giorni scorsi un ampio servizio firmato da Aaron Maines. Dal quale, tra l’altro, emerge evidente l’attenzione con cui la comunità internazionale, scientifica e no dedica alle problematiche relative all’ambiente nonchè, nella fattispecie, al recupero di prodotti in via di estinzione.

“Ci fa molto piacere di questo interesse che i media dedicano a quanto stiamo facendo per la conservazione delle diversità genetiche del patrimonio viticolo regionale”, dice il direttore dell’Istituto, Odoardo Zecca. Che aggiunge: “Il nostro è un impegno che arriva
da lontano e certo è merito della passione di ricercatori come i canonici Vaudan e Duverney, di Rigazio, Praz, Moriondo e diversi altri se oggi possiamo dire di avere salvato semi nonchè informazioni sulle identità varietali di cui avevamo perso le tracce”.
Oggi vi sono altri botanici che seguono con passione questo lavoro. Ricercatori come come Provino, Lale-Demoz e Marco Reinotti che hanno approfondito gli studi sui vini ottenuti da questi antichi vitigni. Che non sono ancora sfruttati commercialmente come, invece, lo sono il Petit Rouge o il Prié Blanc: due cultivar che sono alla base dell’ampelografia attuale della regione valdostana. Un territorio cioè che presenta una condizione orografica estremamente difficile e tuttavia riesce a creare condizioni ottimali per produrre vino anche a mille metri di altezza. Come appunto fa la cantina sociale di Morgex e de la Salle, ai piedi del monte Bianco.
Costituito nel 1982 dall’Amministrazione locale in collaborazione con l’Ordine dei canonici del Gran San Bernardo, l’Istituto agricolo regionale nei fatti deriva dalla Scuola di Agraria fondata nel 1951 dalla Congregazione monacale. Grazie alla quale intere generazioni di valdostani hanno potuto studiare teoria e pratica di agricoltura. Perpetuando così lo stesso spirito solidaristico del Santo che nel 1050, arcivescovo di Aosta, fondò l’Ospizio du Grand e du Petit Saint-Bernard.

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