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Il Sole 24 Ore

Quel Nebbiolo di Pechino ... Sarà una rivoluzione copernicana oppure un semplice scambio di vitigni fra vecchia Italia europea e Nuovo Mondo? Propendo per la prima ipotesi. Il mondo del vino è all’alba di una grande trasformazione che vede come protagonista la globalizzazione in coabitazione addirittura al localismo, rappresentato dai vitigni autoctoni che, ahimè, potrebbero essere non più chiamati tali perché costretti a cambiare residenza.
Si perché se il nebbiolo, il sangiovese, il montepulciano, la vernaccia saranno sempre più coltivati in Australia, in Napa Valley, in Cile, in Argentina etc. ragion per cui diventeranno “apolidi” o “ internazionali”, così come oggi lo sono il cabernet sauvignon, sirah, merlot, chardonnay. Insomma un vero e proprio scambio (non delle coppie) ma delle barbatelle.
E proprio questa pare l’ipotesi della trend internazionale del vino, spinta pure dalle nuove regole (art. 50 del regolamento del mercato vinicolo) dell’ Unione Europea che partiranno nel 2009, a seguito delle quali viene concesso al produttore di vino da tavola, ovunque produca, la facoltà di indicare, accanto all’annata, pure il nome del vitigno.
Allora tutta la guerra contro i vitigni internazionali, la difesa strenua di molti dei vini autoctoni finirà in barzelletta. Sarà davvero bizzarro far polemiche sui nostri più importanti vitigni divenuti protagonisti nelle aree vinicole di mezzo pianeta. Insomma faremo come Tafazzi.
Che orrore pensare di dover far polemiche non solo contro i “vini dei falegnami” e le “ premute di Pinocchio” ma pure contro quei rossi o bianchi, made in Italy come paternità, ma di passaporto australiano, americano e forse domani cinese. Per non tralasciare poi i vini contraffatti, a quanto pare l’ultima moda italiana.
Quando la sfida si fa dura, allora…i produttori italiani saranno chiamati davvero al grande confronto. Il successo dei nostri vitigni (la maggior parte “nordisti” o di “ centro”) segnato appunto dalla domanda di vino ottenuto da alcuni vitigni autoctoni all’estero, in particolare negli Usa, ha provocato l’interesse dei viticoltori dei paesi concorrenti. E sicuramente nei prossimi anni il confronto avverrà su quei vini, un tempo autoctoni, divenuti internazionali fra produttori non più solo italiani, ma di diversi territori vinicoli.
Viene da chiedersi se il boom verso sangiovese, nebbiolo, Montepulciano etc. sarà una manna per il made in Italy oppure ancora una volta dovremmo assistere alla consueta commedia, già vista per la pizza, il caffè espresso, i formaggi, i salumi etc. Un copione che vede sempre la cultura o la creatività “nostrana”, ma uno sfruttamento commerciale di altri.
Addirittura nel caso dei vini, grazie alle solite menti illuminate (nel senso di luci sempre accese nel palazzo di vetro di Berleymont a Bruxelles) dell’ Unione Europea, non ci sarà bisogno di storpiare parmigiano-reggiano in parmesan ma concessa la facoltà di usare il nome del vitigno nella sua versione originale. Sine qua non

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