02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Il Sole 24 Ore

Talebani in cantina ... E’ una querelle strisciante, sotterranea, percepita, fino ad oggi solo da qualche addetto ai lavori, ma pronta a trasformarsi in guerra, a cominciare dall’aggettivo “diversi”.
Il riferimento è ai vini, siano rossi, bianchi o rosè. Da un lato i produttori che si rifanno alle teorie biodinamiche dell’ austriaco Rudolph Steiner, o al microbiologo giapponese Fukuoka, a coloro che si definiscono “vini veri”, a quelli che si riconoscono come “vini naturali” e ai viticoltori distribuiti dalla Velier di Genova, sotto il nome di “triple A” che hanno in un francese, Nicolas Joly, produttore di Clos de la Coulèe de Serrant (valle della Loira) la loro istrionesca guida. Stranamente non fa parte di alcun gruppo, il noto produttore friulano Josko Gravner, indicato da molti come il guru, che ha molto influito sulle scelte produttive dei “diversi”.
Questi gruppi si presentano addirittura con tre manifestazioni diverse (Villa Favorita dal 6 al 7 aprile, Villa Boschi dal 3 al 5 aprile e Ca’ Scapin dal 5 al 7 aprile) quasi a voler significare una loro differenza ideologica; insomma la trinità nella diversità, ma soprattutto per sottolineare, tutti, le distanze dagli espositori del Vinitaly che si svolge nello stesso periodo (dal 3 al 7 aprile). C’è da registrare che non esistono vini biodinamici, bensì uve biodinamiche e che per essere definiti tali è necessaria la certificazione Demeter.
I produttori “veri”, “naturali” e biodinamici non si sentono diversi, anzi ritengono di produrre vino con canoni ancentrali, quasi primitivi a cominciare dal ricorso di alcuni addirittura alle anphore in luogo del legno o dell’acciaio, quindi sono tutti gli altri a doversi ritenere tali.
E chi sarebbero i diversi, allora? Tutti quei produttori che si riconoscono sotto i disciplinari Doc e Docg con le regole che ne conseguono, di volta in volta consentite, in sede Unione Europea, che, non si sentono diversi anzi...maggioranza vinicola?
Una situazione davvero bizzarra che comincia “a montare” in molte occasioni: dai convegni (a Vinum Loci durante la fiera Good svoltosi a Udine) dove il professor Attilio Scienza ha duramente messo in discussione le metodologie dei “diversi”, contestato a sua volta da Teobaldo Cappellano, produttore di barolo e dai fratelli Vodopivec, ad alcune trasmissioni radiofoniche su Radio 24, dove lo scontro sull’uso o meno della solforosa tra il wine maker Riccardo Cotarella e il produttore toscano Fabrizio Niccolaini (Massa Vecchia) ha provocato scintille.
Insomma c’è chi mette in discussione l’uso della chimica nei campi (diserbanti etc) e in cantina (lieviti, enzimi etc) e chi invece mette, a sua volta, in dubbio la possibilità di produrre naturalmente, per esempio, senza il ricorso alla solforosa e un utilizzo, che parrebbe contraddittorio, del rame.
L’ impressione è che sotto la cenere arda il fuocherello del mercato in un momento assai delicato per le vendite.
Da un lato è indubbio la tendenza di stili di vita “naturali” che favoriscono un consumo di quei vini che affermano un rispetto verso la natura, mettendo al bando l’uso indiscriminato della chimica.
Dall’altro la difficoltà dei vini, cosiddetti bio, naturali, veri , di farsi conoscere e di essere compresi dal consumatore per un gusto e per un colore insolito ai palati e alla vista di coloro, abituati da anni, al morbido e rotondo.
La guerra in corso fra gli opposti schieramenti è purtroppo farcita di “talebani” che nell’uno e nell’altro caso estremizzano le accuse (uso di chimica o malafede nella dichiarazione di non utilizzo), facendo di tutta l’erba un fascio, soprattutto non permettendo al consumatore di cogliere la verità sulle reciproche affermazioni. Sine qua non

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su