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Il Sole 24 Ore

E i primi saranno i primi ...
di Tullio Gregory
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C’era un forte rischio tnel tentativo di portare in tavola la fantasia: quello dei cosiddetti cuochi “creativi” mossi, esaltati da varie guidi gastronomiche, cuochi in generale privi di quell’essenziale cultura del fare, nutrita di lunga esperienza e paziente ragione, incapaci di attendere a lente cotture, ignari delle grandi salse madri, pronti a sfilettare e porzionare perché non si possa mai supporre l’”intero” che nessuno più sa trinciare in tavola: la loro creatività, in genere, si manifesta in pallidi
grafismi che sostituiscono nel piatto quel che non c’è.

Dunque il problema era rinunciare a quell’inventività, in cucina parente prossima dell’improvvisazione, che il termine “fantasia” poteva facilmente suggerire,per puntare invece sulla sua capacità di interpretare e valorizzare l’oggetto - per esempio un lombo di maiale - nella sua concreta, storica, empiricità: la fantasia dunque come attività che sollecita e promuove il gusto dell’homo edens, senza privarlo dell’oggetto suo proprio, ma arricchendolo di allusioni e riferimenti simbolici.

Sarà così possibile da un lato mantenere la grande cucina, con le sue tradizioni e la sua cultura, dall’altro stimolare la forza creatrice della fantasia dando valore forte al fingere (si ricordi il modenese Tassoni “Gli artefici di Murano [...] hanno trovata maniera di fingere il vetro in cristallo”), così da completare il convito con un piacevole gioco ermeneutico, con buona pace dei più seriosi ermeneuti che hanno scoperto il coltello per tagliare il burro.

Ed ecco come abbiamo pensato di strutturare i menu per i giorni del Festival filosofia: cominciamo a salvaguardare il mito dei primi - i fantastici primi - con un menu di soli tortelli e maccheroni, gramigna e tagliatelle, in
piatto e in crosta, per passare poi alle fantastiche alchimie con la trasformazione alchemica operata dalla frittura, creatrice di realtà nuove, dorate, trasformando ed esaltando materie prime semplici, come quelle presenti nel fritto misto. Non potevamo abbandonare l’immaginario enciclopedico che trova nel maiale la sua più appropriata espressione, giacché tutto si utilizza, come già insegnava il Testamentumporcelli, viatico del nobile e generoso animale dalla Tarda Antichità ai tempi moderni. Vi è poi un altro universale fantastico da salvaguardare, ovvero l’”intero”, che nel bollito si realizza, immaginando e riportando a unità le tante parti degli animali che ci vengono presentate (immaginare l’intero). E quanti voli dell’immaginazione, inseguendo i modesti, ma gustosissimi animali da cortile (galletti e galline, anatre e capponi) che vanno starnazzando, prima di essere transustanziati nell’essere uomo?

Passiamo quindi ai paradisi immaginari come l’Eden, dove, per rispettare i vegetariani, nessun vivente poteva essere consumato: di qui un menu di sole verdure. Da questa fantasia ci ha liberato il peccato di Eva e di Adamo che, secondo una marginale ma significativa tradizione esegetica, potè ambiguamente consistere in un peccato gastrosessuale, di sesso e di gola, avendo i Protoplasti goduto di un serpente in forma di salsiccia.

Non potevamo dimenticare il mangiar finto (come dire le farfalle al ragù e gli uccelletti scappati), né la rivoluzione immaginaria, portando intavola varie “bombe” che esplodono con tutta la loro forza nella nostra bocca: il rivoluzionario, il contestatore può scegliere fra la bomba di riso o il cotechino in galera.

Chi poi volesse ripercorrere gli orgiastici riti bacchici potrebbe trovare nelle varie enoteche il più appropriato viatico, il vino, e accedere a tutto l’universo dell’immaginazione dionisiaca.
L’itinerario è così concluso: la fantasia creatrice ha prodotto i suoi oggetti, ponendoli e valorizzandoli nella loro concretezza; l’io, nella sua dimensione plurale, riscopre antichi sapori. Come ricordava Montaigne, ripetendo un antico adagio: “una forte immaginazione genera l’evento”.

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