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Il Sole 24 Ore

Da Pollenzo ai campi del Kenia per difendere la cultura del cibo ... Ci sarebbero molti modi per raccontare l’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo. Partendo per esempio dalle sue origini, nel 1994, dall’idea fondante concepita da Slow Food, dal contributo di due regioni, Piemonte ed Emilia Romagna, dal riconoscimento del ministero dell’Istruzione come istituto privato dislocato in due sedi, quella cuneese di Pollenzo per i corsi e
quella parmigiana di Colorno per i master. Ma quelle erano le
tappe della semina, oggi è già
venuto il tempo dei primi raccolti. Di Jane Karanja e Peter
Namianya, per esempio, due ragazzi keniani che furono i primi studenti africani e il 31 ottobre discuteranno la tesi di laurea. Avendo già ben in mente
come metterla a frutto, ovviamente nella loro terra: un safari
eco-gastronomico lei, un centro di formazione agricolo-culinario lui.
La migliore risposta possibile a quella che era parsa, all’epoca, un’intuizione tra il geniale e il visionario di Carlo Petrini. Sosteneva, e a maggior ragione sostiene, Carlin, che non sarebbe stato possibile difendere la cultura del cibo senza interessare il mondo accademico. E sopratutto senza affermare che tutto ciò che ruota attorno alla nostra alimentazione, e cioè agraria, economia, storia, antropologia, genetica, politica, manca di una visione d’insieme. Visione indispensabile per affrontare seriamente tutte le sfide che la globalizzazione impone
ancor più per tutelare quelle che lo stesso fondatore di Slow Food ha battezzato le “Comunità del Cibo”. Infatti, non è un caso che l’università sia nata lo stesso anno della prima edizione di Terra Madre: migliaia e migliaia di contadini, pescatori, pastori arrivati a Torino da tutto il mondo per confrontarsi e cercare di mettere in rete manualità e saperi. Con due priorità: sopravvivere allo sviluppo industriale e difendere la biodiversità dei prodotti locali.
Torniamo ai due ragazzi: come avete saputo dell’università? “Dai delegati delle organizzazioni con le quali collaboravamo che avevano partecipato a Terra Madre. Abbiamo superato i test di ammissione e poi abbiamo ottenuto la borsa di studio che ha coperto per intero i costi”. Jane, figlia di contadini e allevatori, voleva studiare agraria ma l’università di Nairobi era troppo cara. Il suo villaggio è nella Rift Valley, una delle zone interessate dal conflitto nato per il sospetto di brogli nelle elezioni presidenziali
del 27 dicembre scorso. “Ora è tornato tutto alla normalità - dice Jane - e c’è molto da fare”.
Peter invece è nato in un villaggio del Kenya occidentale, a 400 chilometri da quello di Jane di cui, ovviamente, ignorava l’esistenza. Appena arrivato in Italia si è innamorato delle Langhe piemontesi e del moscato: “Voglio assolutamente tentare di produrlo nel mio villaggio”. Anche lui figlio di contadini, insegnava a coltivare gli ortaggi. “Oggi mi sento arricchito da questa esperienza, soprattutto dai viaggi fatti in tutto il mondo”. L’Università di Scienze gastronomiche, che oggi ha 200 iscritti di 23 Paesi, prevede, oltre all’insegnamento di una
ventina di discipline tra umanistiche e scientifiche, quindici stage di cui la metà in Italia. Si tratta di viaggi didattici della durata di una o due settimane, che offrono agli studenti la possibilità di conoscere da vicino realtà produttive differenti seguendone l’intera filiera.
“Quando bevo un cappuccino lo pago più di un euro. Mio padre vende un chilo di caffè a 10 centesimi. Ecco, questi viaggi mi hanno permesso di capire l’intero percorso di un prodotto alimentare. Ma anche di incontrare persone straordinarie come Vandana Shiva che a Nuova Dehli ci ha parlato della Banca dei Semi”.
Quali sono i vostri progetti? “Il mio è un Paese bellissimo e vorrei che fossimo noi a farvelo conoscere, raccontandovi la nostra cultura, le nostre tradizioni”. Jane ha un tono quasi rivendicativo, mentre prosegue: “Nelle Langhe i turisti vengono per visitare le cantine, assaggiare i vini, mangiare il tartufo. Ecco io ho in mente un tour gastronomico attraverso le Comunità del Cibo keniane”.
Peter invece vuole aprire una scuola dove si insegni a coltivare, a cucinare e a commercializzare i prodotti locali con l’aiuto delle più moderne tecnologie. “Nelle zone rurali le donne sono troppo poco interessate dalle attività di sviluppo. Il mio progetto vuole coinvolgere soprattutto loro, custodi da sempre di tradizioni e memoria”. Le prossime tappe? “Sta per iniziare la terza edizione di Terra Madre (Torino 23-27 ottobre). Subito dopo ci laureiamo”. Insomma, il cerchio si chiude. “No. Nulla si chiude. A novembre inizieremo a impostare la ricerca sui Presidi del Kenya. Alla fine dell’anno torneremo a casa e proseguiremo sul campo con l’intenzione di allargare la rete di Terra Madre. E poco alla volta avvieremo i nostri progetti”.

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