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Il Sole 24 Ore

Per le aziende di famiglia è l’ora della svolta ... Manager e patti generazionali per dare nuovo vigore all’impresa... Cinque gruppi al comando. Quattro sono imprese cooperative (Gruppo
italiano vini, Caviro, Cavit, Mezzacorona) e una, la quinta, é a
capitale privato: è l’azienda fiorentina Marchesi Antinori con siti
produttivi in altre zone d’Italia e Paesi esteri, e ha un fatturato
2008 di 138 milioni di euro, come evidenzia il focus-vino che
Mediobanca ha appena pubblicato (si veda il Sole 24 Ore del 27 marzo).
Aziende “troppo piccole”, avevamo scritto nello “speciale” dedicato a
“vino&olio” pubblicato alla vigilia del VinItaly di un anno fa.
Evidenziando già nel titolo che per i produttori di casa nostra “è ora
di diventare più grandi”. Impensabile che dopo appena 365 giorni la
struttura portante del sistema possa essere diversa da allora. E
infatti nulla è cambiato nella sostanza. Salvo che nella cinquina
della banca d’affari milanese, le aziende private indicate allora
erano due. E oggi solo una.

Dunque la cooperazione, che pesa pressapoco la metà sulla produzione
vinicola nazionale, ha ulteriormente guadagnato terreno. A scapito
della moltitudine di piccole e medie imprese familiari. Non poteva
essere diversamente, considerata la grave crisi che nel 2008 si è
abbattuta non solo sul sistema finanziario mondiale ma anche, e
pesantemente, sull’economia reale nazionale. Con le imprese private
che hanno dovuto fare salti mortali ben più aggrovigliati, per
fronteggiare il calo dei consumi e fare quadrare i bilanci.
Diversa la situazione per la cooperazione, certo anch’essa esposta al
calo della domanda e dei listini, ma con una freccia in più al proprio
arco. Una freccia che può essere sintetizzata nel fatto che la
cooperazione dispone di relazioni più agevoli con la propria base
associativa fornitrice di uve. Di più, ha l’opportunità di generare un
processo aggregante sulla filiera, attuando fusioni e incorporazioni
che, come insegna l’operazione Civ&Civ e Riunite, controllanti di Giv
(per citare la fusione più significativa dell’ultimo anno) contiene al
massino il ricorso ai prestiti bancari. Cosa che invece toccherebbe
fare alle imprese private qualora avessere mire espansionistiche.
“Eppur si muove”, direbbe Galileo. Sì, qualcosa si muove nel
tradizionalista mondo delle imprese vinicole familiari, ben
predisposte ad attuare interventi finalizzati al miglioramento
qualitativo dei prodotti e dell’immagine della marca, e molto meno
disposte a discutere di problematiche dimensionali. Molto meglio
allora affrontare questioni che hanno a che fare con la gestione
dell’impresa vinicola, con o senza il coinvolgimento della proprietà.
E con l’avvicendamento generazionale che nel settore agroalimentare ha
considerazioni assai più esasperata che in altri comparti
imprenditoriali. Questo spiega perchè ha destato sorpresa e, al tempo
stesso, interesse la notizia di qualche mese fa, quando al timone
della Gancia - azienda di antica storia e marchio di grande
reputazione nella spumantistica nazionale - la proprietà ha deciso di
fare un passo indietro, affidando le redini gestionali a un team di
manager guidato dall’ad Paolo Fontana. Il quale, da manager, non ha
perso tempo nel rifare la nuova squadra e riordinare il portafoglio
della casa, riequilibrando così l’uscita di alcuni marchi con altri
altrettanto prestigiosi.
Ora, se è ancora presto per dire che questo cambio di quadra nella
cabina di regia della più antica casa di spumanti italiana è destinato
a fare scuola, è pure vero che la questione generazionale al vertice
delle imprese vinicole è un fatto al momento dominante. Si potrebbero
fare molti esempi, a cominciare dal numero cinque della classifica
Mediobanca, con Piero Antinori che sta di fatto completando il mosaico
nell’assegnazione delle competenze alle figlie Albiera, Allegra e
Alessia.
Stesso tema, stessa evidenza del problema alla holding Terra Moretti
di Erbusco, con il fondatore Vittorio che non ha esitato a promuovere
quello che è stato uno dei primi patti di famiglia che si conosca nel
sistema agricolo nazionale, con le figlie Carmen e Francesca che ormai
vestono ruoli di responsabilità nella holding e nelle aziende del
gruppo. Più o meno ciò che hanno fatto i Lunelli della Ferrari di
Trento e Gianni Zonin a Vicenza: entrambi hanno lasciato che gli eredi
facessero esperienze esterne e, solo dopo appropriati apprendistati,
hanno dato loro le chiavi delle aziende di famiglia. Ma, come si vede,
stiamo parlando di imprese che nel settore sono considerate già
grandi. E l’Italia del vino, putroppo o per fortuna, fate voi, non è
tutta così.

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