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Il Sole 24 Ore

La Pac di ieri non serve all’agricoltura del domani ... È raggiante Paolo De Castro: è tornato al suo antico e persistente amore, l’agricoltura, questa volta in chiave istituzionale europea.
Nella nuova veste di eurodeputato del Pd, ha appena conquistato la presidenza della commissione agricoltura, un posto che, se il Trattato di Lisbona entrerà in vigore, acquisterà peso e influenza. Soprattutto, per la prima volta, poteri co-decisionali con il Consiglio dei ministri.
C’è la riforma della politica agricola post-2013 da fare, c’è il Doha Round da chiudere entro il 2010 secondo gli auspici del G8 allargato dell’Aquila. E, nell’immediato, c’è il crollo dei prezzi, latte in testa. Tutti temi sui quali De Castro, 51 anni, due volte ex-ministro delle Politiche agricole, ha già in testa alcune idee da proporre. Per la stabilizzazionc dei mercati da combinare con nuovi meccanismi che frenino la fluttuazione dei prezzi e dei redditi.

Gli agricoltori europei sono dovunque in armi per il crollo dei prezzi...

Che però non deriva da un problema strutturale. Tanto è vero che nel 2008 la questione era esattamente opposta, era quella di ridurre i prezzi. Siamo in una fase congiunturale che, complice la crisi economica, deve fare i conti con il calo della domanda globale.

Sia come sia, che cosa suggerisce di fare?

Non di tagliare la produzione, perché viviamo in un mondo dove il rischio è ritrovarci nell’incapacità di soddisfare la domanda mondiale che, fino all’esplosione della crisi, cresceva del 4-5% annuo.

Quindi?

Se l’Europa non è più una roccaforte chiusa ma un mercato aperto, se la globalizzazione porta la variabilità dei prezzi in funzione della domanda mondiale e se i nostri produttori, come tutti, hanno bisogno di stabilità, dobbiamo inventare meccanismi anti-fluttuazioni. Dei prezzi e dei redditi. Magari ricorrendo a polizze assicurative contro questo tipo di rischi, come già accade negli Stati Uniti. E poi, nel caso dell’Italia, bisogna continuare a puntare sulla qualità della produzione.
Il G8 allargato dell’Aquila ha lanciato l’invito a chiudere il Doha Round, il negoziato commerciale multilaterale, entro il 2010. Lei ci crede? È fattibile. L’Europa ha fatto la sua parte e i suoi sacrifici. Tra l’altro resta il maggiore importatore agricolo del mondo. Ora tocca agli Stati Uniti.

Che cosa si aspetta dall’America di Obama?

Oggi il bilancio agricolo Ue è di 52 miliardi di euro per 10 milioni di agricoltori. Quello Usa è di 77 miliardi per 2 milioni di beneficiari. Per di più l’ultimo Farm Bill di George W. Bush contiene non solo i sussidi all’export che noi europei abbiamo ormai abolito ma anche il riaccoppiamento degli aiuti. Spero che Obama inverta la linea. Spero anche che, di fronte alle sfide della mondializzazione, ci muoveremo insieme evitando gli errori del passato. Insieme come? Anche stabilendo contatti sempre più frequenti tra parlamentari europei e americani.

Lei dovrà affrontare anche la riforma della politica agricola (Pac) post-2013 in un’Europa decisa a tagliarle drasticamente i fondi. E ancora difendibile secondo lei la Pac nel mondo globalizzato?

Si, se si capisce che il protagonismo di Cina e India sposta il baricentro dell’agricoltura dalla qualità alla quantità. Alla sicurezza alimentare. Oggi c’è
la crisi della domanda ma il rischio vero è che ci riveliamo incapaci di soddisfare la nuova domanda globale. In Africa Cina, Corea, India hanno comprato 45 milioni di ettari di terre arabili: 3 Italie, il triplo della nostra superficie coltivabile. Se i cinesi mangeranno più carne, la produzione di cereali andrà moltiplicata per sette.

Conclusione?

La Pac non può affrontare i problemi di oggi con le riforme di ieri. Ci vogliono nuove riforme però nella consapevolezza che la politica agricola europea oggi non è importante per i suoi 10 milioni di agricoltori ma per i suoi 500 milioni di cittadini.

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