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Il Sole 24 Ore

Passione infinita per l’origine ... Come i produttori del Roero hanno vinto la sfida della quàlità... Denominazioni. La recente riforma delta legge avvalora le scelte selettive di imprese e consorzi... Sui muri scrivono “viva il Prosecco Docg ...”. I muri sono quelli di Valdobbiadene, di Conegliano, di Asolo: terre trevigiane dove l’aggiunta della mitica “g” di garantita alla denominazione del Prosecco ha indotto un po’ tutte le aziende vinicole, da Bisol a Mionetto, da Valdo a Villa Sandi, a fare salti mortali per portare al Vinitaly le nuove etichette Docg. Un traguardo che porta la firma del ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia. È curioso come a quasi mezzo secolo di storie di Doc, Igt e Docg i vignaioli italiani tengano a farne uso. E non importa se da più parti non s’è mai smesso di dire che non è la denominazione a fare la qualità. Vero. Ma tant’è, l’ambizione ad averla non è mai scemata Né verrà meno ora. Perché, com’è presumibile, anche dopo il recente varo della legge 164 riformata, che cambia le carte in tavola, singoli produttori, consorzi di tutela e semplici cultori del vino non volteranno tanto facilmente le spalle alla logica della Doc o Dop che sia. Perché? “Perché è uno strumento che comunque dà lustro al prodotto e amplia i margini di sicurezza al consumatore”, commenta Anselmo Chiarli titolare dell’omonima azienda emiliana che ha al suo attivo la leadership nazionale di vendite di Lambrusco nella grande distribuzione, grazie appunto a due denominazioni storiche come Grasparossa e Sorbara Doc, la seconda fresca del riconoscimento dei “tre bicchieri”. Non è il solo, s’intende, ma è un fatto che la cooperativa trentina La Vis crei una campagna promozionale ad hoc su uno spumante tre bicchieri, qual è il Trento Doc Aquila reale. Azioni mirate, dunque. Com’è d’altra parte tutto l’impianto creato a tutela del Roero Docg, rosso e bianco, una denominazione che è lo specchio stesso del medesimo territorio di produzione: una lingua di dolci colline striate di vigne a Nebbiolo e Arneis a Nord di Cuneo, con i due pesi massimi Barolo e Barbaresco appena al di là del Tanaro. Un confronto arduo, si dirà. “Ma il Roero, nonostante la giovane età rispetto a tutta la realtà delle Langhe, ha saputo imbastire giorno dopo giorno una politica di successo da sei milioni di bottiglie esportate in mezzo mondo”, commenta con l’entusiasmo di chi crede nel progetto il presidente della locale Enoteca regionale Luciano Bertello. Di questi esempi l’Italia vinicola è piena, come lascia intendere il bel daffare dei pochi vignaloli frusinati produttori del Cesanese del Piglio Docg o dei tanti produttori di Barbera d’Asti, intenti a sostenere il lancio della prima annata “superiore” Docg. Mentre inValpolicella arriva la tanto attesa “g” per il blasonato Amarone. Un attaccamento alla logica delle denominazioni che, piaccia o no, ha molti estimatori e supporter. Uno di questi è FieraVerona che, con Vinltaly, “è da sempre al fianco del sistema vino di qualità e a tutela delle denominazioni d’origine, in Italia e nel mondo”, sostiene il presidente Ettore Riello. Che aggiunge come nel nuovo piano industriale, l’ente fiera ha deciso di investire oltre sette milioni di euro “autofinanziati” per radicare, attraverso joint venture e partnership, la presenza del marchio scaligero a livello mondiale. A tutela e a sostegno della qualità dell’offerta made in Italy.

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