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Il Sole 24 Ore

“Valorizziamo le nostre produzioni tipiche” ... Gianni Zonin. Presidente del Gruppo Zonin... Ripartire dalla specialità, dall’unicità. La ricetta di Gianni Zonin per evitare che la flessione generalizzata del mercato del vino nel 2009 si tramuti in crisi vera è semplice e si basa tutta sul fatto che l’Italia ha una marcia in più rispetto ai principali concorrenti internazionali: può vantare ben 350 varietà di vitigni autoctoni mentre nel resto del mondo c’è una sorta di omogeneizzazione tra i filari delle viti.

Presidente Zonin a Verona si apre il Vinitaly in uno scenario di mercato non troppo felice. Quanto ha pesato la crisi e che prospettive ci sono?

Diciamo che fortunatamente l’Italia è andata meglio di altri. La Francia ha avuto una flessione molto più pesante con lo champagne crollato del 38 per cento. Una vera debacle viene segnalata da Australia e Sudafrica dove si stanno tagliando vigneti e non se la passano meglio gli altri produttori mondiali. Possiamo recuperare, ma bisogna capire che quella in atto è una crisi dei consumi e trarne le conseguenze.

Cosa fare allora?

I prezzi di taluni vini erano arrivati a livelli eccessivamente elevati. La gente chiede ancora di bere un buon bicchiere di vino ma lo vuole pagare il prezzo giusto. Bisogna riportarci su un equilibrio virtuoso tra qualità e prezzo. Ben vengano in questo senso le campagne di comunicazione e di promozione ma ben venga soprattutto la difesa del vino così come è stata fatta dal ministro Zaia, senza alcuna demonizzazione. Il vino fa bene e il suo consumo deve naturalmente essere consapevole.

La Ue ha dettato nuove regole per la produzione, c’è stato un contraccolpo per l’Italia?

Non c’è stato alcun problema. Il nostro ministero ha lavorato molto bene, abbiamo seguito passo passo l’elaborazione della normativa europea ed eravamo già pronti a recepirla. Restano i punti fermi delle nostre Doc e Docg ma soprattutto resta lo spazio per i nostri 350 vitigni autoctoni che sono un vero patrimonio da promuovere nel mondo. Se riusciamo a legare in maniera unitaria e in qualche modo emozionale la nostra straordinaria offerta turistica con la gastronomia e i vini faremo fare a tutta l’economia italiana un grande balzo in avanti.

C’è sempre una moda, anche nel bere. Oggi quali sono i vini italiani più richiesti?

Direi senza dubbio il Prosecco che è ormai un gigante a livello mondiale. Aggiungerei tra i bianchi il Pinot grigio ed il Moscato d’Asti. Tra i rossi l’Amarone sta vivendo una grande stagione così come il Nero d’Avola.

Potrebbe essere utile, anche alla luce della sua esperienza di uomo di banca, un più stretto legame tra finanza e mondo del vino, un po’ sull’esempio di quanto avviene in Francia con i certificati “en primeur”?

Quella è un’esperienza particolare e non replicabile. Sicuramente da noi è da recuperare l’esperienza delle cosiddette cambiali agrarie applicandola al settore. In sostanza si dovrebbe poter garantire il finanziamento sulla base delle scorte e dei magazzini di vino.

Nell’industria manifatturiera si dice che per uscire dalla crisi servono ricerca, innovazione e dimensione. Nel vino ricerca ed innovazione sono d’obbligo, lo è anche una dimensione competitiva?

Ormai sì. I piccoli produttori faticano a frequentare i mercati internazionali o rischiano di essere vittime dei distributori. Non si possono fare fughe in avanti ma forme di aggregazione consortile tra produttori possono sicuramente dare importanti risultati.

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