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Il Sole 24 Ore

Dalle doghe delle barriques rinascono sedie ergonomiche ... Innamorarsi delle doghe che ancora profumano di vino e decidere di regalare una nuova vita a quei legni perfetti dalla forma sinuosa che hanno custodito per anni preziosi nettari d’autore. Parte da qui, dall’idea che esista una seconda possibilità per tutto ciò che ha esaurito il compito per il quale era stato creato, il successo di Marco Torchio. Albese, 44 anni, laureato al Politecnico di Torino in restauro architettonico, produce elementi di arredo recuperando le barriques destinate al macero. Sedie, poltrone, tavolini che portano il segno della loro precedente vita, ma che sono realizzati secondo i più avanzati princìpi dell’ergonomia. “L’idea del restauro non mi convinceva - ricorda Marco Torchio - mi sembrava anti-educativa, perché generata dalla mancanza di coraggio. In passato i nostri antenati non hanno esitato a demolire opere precedenti per affermare il loro stile e il loro tempo. Noi invece restauriamo edifici mischiando la nostra idea di architettura con quella di chi ci ha preceduto. Ma qual è la storia che conta? Quella rinascimentale, quella barocca? Io ho deciso che è la mia”. Andare controcorrente, per di più in giovane età, non deve essere stato agevole. “E infatti ho deciso di fare l’idraulico”. Fresco di laurea, entra nell’azienda di famiglia, piccola impresa artigianale che produce e commercia materiale idraulico. “È stata un’esperienza formativa importantissima. Il bruciore delle schegge in faccia mentre stai molando aggiunge concretezza a ciò che hai studiato. In più, il continuo confronto-scontro con mio padre mi ha insegnato a correre dietro ai sogni”. Per sperimentare nuovi oggetti comincia con il recuperare i materiali destinati alla discarica. “Erano gli anni 80, di raccolta differenziata nemmeno l’ombra. Per me erano materie prime a costo zero”. Con le bottiglie di plastica costruisce una sdraio da piscina, con i bidoni di petrolio dà forma a una poltroncina, con i cartoni impilati in officina crea una sedia con lo schienale molto alto. “Una buona applicazione ingegneristica” la definisce oggi e ne va ancora molto fiero. Nel 2006 si innamora di un carrello per la spesa che vede in un supermercato. Sul maniglione c’è scritto: eravamo 23 bottiglie di plastica. Vorrebbe portarlo via per studiarlo ma l’unica possibilità sarebbe rubarlo. Si arrovella fino al giorno in cui non ne trova uno identico a casa di un amico. Il mistero viene subito svelato: è stato acquistato direttamente da chi li produce. Pensava arrivassero per lo meno da Taiwan, invece la fabbrica era a neanche 50 km da casa sua, a Racconigi. Scova l’indirizzo e si presenta con la sedia di cartone proponendo lo scambio con un carrello. La richiesta inusuale è sufficiente a far scattare la curiosità. Michelangelo Bergia, presidente della Compagnia di finanza etica, e Marco Torchio si annusano il tempo necessario a capire che, pur diversi, sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Bergia, insieme ad altri imprenditori, aveva fondato nel 2004 una finanziaria per supportare progetti di sostenibiità capaci di incrociare la tutela ambientale con le esigenze del mercato. Come i carrelli che infatti vengono prodotti da una società partecipata dalla finanziaria. Intanto Torchio sta lavorando alla realizzazione di complementi d’arredo con le doghe delle botti di rovere che un vignaiolo gli aveva regalato. Sotto l’ala della finanziaria nasce Keoproject, la società che oggi produce, così vengono battezzate, Le sedie del Torchio. Dopo il successo riscosso sia a Vinitaly che al Salone del mobile, i suoi sogni continuano a correre. “Vorrei cambiare le regole dell’edilizia. Basta con il pensare alla mansarda quando sei giovane, il primo piano da adulto e il piano terra per la vecchiaia. Bisogna cambiare paradigma e decidere che il valore di una casa dipende da quanto ti fa vivere bene”.

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