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Il Sole 24 Ore

A me mi piace ... Che leggenda quel peposo... Dietro a molti giacimenti gastronomici ci sono leggende da cui sono nate anche le denominazioni. Così succede pure per molte pietanze. All’acceso palio culinario di “Classico è”, disputato tra le massaie di Castellina e di Greve, lo scontro di gola è stato a base di peposo, francesina e zuppa inglese: piatti che nascondono storie davvero bizzarre. Il peposo altro non è che uno spezzatino, speziato e coperto di vino, soprattutto ricco di pepe. La leggenda narra che al tempo del Brunelleschi, durante la costruzione del Duomo di Firenze, i fornacini dell’Impruneta, addetti alla cottura dei materiali in cotto, facessero largo ricorso a questo piatto, utilizzando appunto i forni per cuocerlo. Resta tuttora misteriosa l’origine del nome “francesina”, con il quale i fiorentini chiamano il lesso rifatto con le cipolle. L’unico indizio, che porta alla Francia, è una pietanza “boeuf miroton”, dove nella ricetta originale le cipolle hanno il doppio peso delle carni. E davvero strano però che Pellegrino Artusi, vissuto a lungo a Firenze, nel suo ricettario inserisca la stessa ricetta quale lesso rifatto all’italiana e addirittura aggiunga pure un lesso rifatto all’inglese con la sua denominazione originale “toad in the hole” (rospo nella tana) senza fare menzione della francesina. Forse è stata solo una bella parigina in vacanza, a cucinare questo gustoso piatto. È certo invece che sia stata una bambinaia inglese, di stanza a Fiesole, presso una nobile famiglia italiana o inglese a inventarsi la “zuppa” per temperare gli spiriti dei bambini a lei affidati. Così le nacque l’idea di mescolare le cose dolci a disposizione: crema, cioccolato, savoiardi e per darle colore un goccio di alkermes, prodotto da una farmacia fiorentina. Le leggende culinarie non si fermano alla Toscana; il babà ha una storia davvero bizzarra perché la sua origine viene attribuita al re di Polonia, Stanislao Leszczynsky, che retrocesso ed esiliato, per lenire le sue pene, decise di dedicarsi ai dolci, modificando il kugelhupt (la ricetta è pure sull’Artusi): sostituì il madera con il rhum. L’origine del nome è controversa: chi dice derivi da “baba”, che in polacco significa nonna, e chi invece sostiene fosse tratto da Mille e una notte, novella amata da Stanislao. A Napoli il babà pare sia arrivato, dopo che i borboni inviarono un gruppo di cuochi in Francia per istruirli alla “haute cuisine”. Altra bella storia è il tiramisu, anzi tiramesu: come suggerisce il nome serviva a risollevare le forze, dopo le avventure galanti, nella casa a luci rosse che sorgeva nelle vicinanze di un bar di Treviso dove questo ormai diffusissimo dessert è stato inventato. E poi ancora i Vincisgrassi, pietanza marchigiana: chi la riporta al generale austriaco Windisch-Gratz e chi ancora a “princisgras”, la cui radice “princ” indicherebbe un’origine nobiliare della ricetta che il gastronomo Nebbia realizzò per rinforzare un piccolo principe con la tisi. Sine qua non.

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