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Il Sole 24 Ore

Cari amici, in Sudafrica la mia impresa ha gia vinto ... Giorgio Dalla Cia, emigrato dal Veneto, ha fatto conoscere la grappa e ha aperto il mercato all’export dall’Italia... “Traditore io? Io traditore della grappa italiana? Ogni volta che torno in Italia qualcuno vorrebbe arrestarmi. È un monumento che dovrebbero farmi: prima che venissi a fare la mia, qui non sapevano cosa fosse una grappa”. Grappa d’Africa ma vera e buona, come quelle che distillano dalle parti di Cadalpe di Conegliano da dove Giorgio dalla Cia è partito 35 anni fa. Domani sera la Nazionale scende in campo nel nuovo stadio di Green Point, a una trentina di chilometri dalle colline di Stellenbosch: boschi, vigneti e campi da rugby. Ma qui ci sono italiani che la loro partita l’hanno già giocata e vinta. In un certo senso Giorgio è un prodotto e una vittima della globalizzazione. Quando il Sudafrica ha firmato con l’Unione Europea accordi commerciali essenziali, ha dovuto rinunciare a produrre grappa, sherry e porto. La prima l’aveva portata Giorgio ma sherry e porto si facevano da 400 anni. Da quando il primo governatore Jan van Riebeck era sbarcato vicino al Capo di Buona Speranza nel 1652. Insieme al vino e alla frutta, servivano per combattere lo scorbuto sui vascelli della Compagnia delle Indie Olandesi che venivano da Amsterdam e proseguivano per Giava. Allora non avevano ancora capito che il Capo era un altro paradiso. Davanti al ceppo acceso la nuora sud-afro-toscana di Giorgio ha preparato zuppa, cotechino e purè. George, trentatreenne, l’unico dei tre figli nato in Sudafrica, versa “Giorgio”, un bordolese intenso. L’eccesso nell’uso del nome Giorgio ha qualcosa d’imperiale. “G” è anche la sua grappa. Ma fa molto famiglia. Fuori, l’inverno della provincia del Capo non è così rigido ma il ceppo, la zuppa e il vino garantiscono sensazioni padane. Silenzio, parla Giorgio.

“Ero venuto in Sudafrica ad aprire una distilleria per la Stock di Trieste. Il socio sudafricano non si è comportato bene e la Stock ha dovuto chiudere. Ma io sono rimasto. Qui ci sono solo due stagioni: inverno e estate, e in ognuna ti perdi nella loro bellezza. Un giorno Nico Maider, un afrikaner con una visione, mi chiese se volevo lavorare per lui. Era il proprietario di Meerlust che vuoi dire brezza di mare: i suoi vigneti erano a sei chilometri dall’oceano. Voleva produrre il primo taglio bordolese del continente. Ti è mai capitato che qualcuno ti proponga di realizzare un tuo sogno con i suoi soldi? A me sì. Ho comprato i barriques, la tecnologia e ho fatto Rubicon, il primo bordolese africano. Nico e io avevamo messo in piedi anche una distilleria. Di brandy da queste parti ce n’era fin troppo e con le vinacce ho proposto di fare una grappa. Mai vista prima”. “Sono stati 25 anni stupendi. Ma stavo per compiere 60 anni e volevo costruire qualcosa di mio. Volevo continuare a sognare. Ho fatto il mio vino ma nel mio cuore c’era la grappa. A 10 chilometri da Pordenone, ad Alzano Decimo, mio padre la faceva dagli anni ’20: sono cresciuto in mezzo a grappa e brandy. Nico Maider mi ha venduto la sua parte di distilleria e io ho insegnato ai sudafricani a bere grappa. Mi appoggiavo agli importatori di caffè italiano: diciamo sempre che la grappa non è buona se non la bevi con l’espresso. Io vendevo la mia grappa e loro macchine e miscele italiane. Non c’è ristorante che alla fine non ti porti il carrello delle grappe. Prima non c’era niente. Oggi si vendono almeno 20 grappe made in Italy”.

“So che iproduttori italiani mi vedono come un nemico ma sono io, qui, ad avere insegnato a bere grappa. È assurdo difenderne il nome. Capisco il Barolo o il parmigiano, ma come puoi farlo con cappuccino, pizza e spaghetti? In Italia la grappa la fanno dall’Alto Adige alla Sicilia. Quello che dovremmo difendere è la qualità: la mia è di alto livello, non la esporto in Italia e produco ogni anno 20mila bottiglie da mezzo litro. Ho amici in Italia che ne fanno 30mila da un litro, più altri milioni di ettolitri che meritano di diventare benzina. E questo che ne distrugge il nome. Se ho smesso di farla? Scherzi? La chiamo solo con un altro nome. Avevo pensato a “Sgnapa”. Troppo simile, mi hanno detto. Ho scelto “G” come Giorgio, George e come...”.

E continui a sembrare un uomo felice.

“Se non sei un filosofo sarai sempre infelice. Io sono un filosofo della grappa”.

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