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Il Sole 24 Ore

Le famiglie d’arte proteggono l’Amarone doc ... Simbolo del made in Italy... Sono passati più di 600 anni da quando il figlio di Dante Alighieri, Pietro, durante l’esilio veronese del sommo poeta, decise di comprare un podere e di fermarsi in Valpolicella. Lì vivono ancora i discendenti, produttori di vino e proprietari, dopo secoli, degli stessi vigneti acquistati da Pietro e passati di mano di generazione in generazione. Gli Alighieri non sono un’eccezione perché comprare un terreno coltivato a vite nella Valpolicella è una missione, se non impossibile, davvero molto ardua. “E quando un vigneto viene messo in vendita - precisa Luciano Fantoni - non passa certo nelle mani delle agenzie immobiliari. Sono affari che si concludono in un circuito chiuso, pressoché inaccessibile”. Le quotazioni, benché scese rispetto a qualche anno fa, si attestano sui 450/500mila euro per ettaro, una quotazione molto alta che da una parte traduce il valore dei vitigni, dall’altra tende a scoraggiare le sempre più numerose richieste di coloro che vogliono comprare il terreno con la speranza di potervi un giorno edificare. Dagli stessi vigneti si ottengono i diversi vini doc che hanno reso famosa la Valpolicella nel mondo e che, a seconda dei processi di lavorazione e al mix di vitigni, danno luogo alle differenti qualità: come l’omonimo Valpolicella, il Recioto e il pregiato Amarone. Proprio quest’ultimo è oggetto di un’iniziativa, presentata di recente a Milano, e voluta da 12 famiglie che storicamente lo producono, ora riunite nell’associazione “Le Famiglie dell’Amarone d’arte” che intendono tutelarne la reputazione dopo che, dal 2002, è iniziato un processo di sovrapproduzione dovuto all’utilizzo di uve non scelte o comprate in pianura con l’obiettivo di veicolare il prodotto anche attraverso i supermercati a prezzi bassi ma - dicono i promotori dell’iniziativa di tutela - a scapito della qualità. “Nel 2002 - spiega Sandro Boscaini, presidente dell’associazione - una terribile grandinata aveva colpito anche la Valpolicella pregiudicando il raccolto. I vignaioli di un certo livello decisero di non produrre per quell’anno l’Amarone. Al contrario, alcuni industriali e alcune cooperative tentarono di mettere sul mercato, soprattutto tedesco, bottiglie a basso costo ricavato da uve tempestate o non di origine controllata. Sottovalutammo l’operazione che invece, non solo ha avuto successo, ma ha dato avvio a un processo di sovrapproduzione”. Per dare un’idea, dagli otto milioni di uve destinate all’Amarone e al Recioto nel 1999, si è passati ai 26 milioni del 2008. Le “Famiglie dell’Amarone d’arte” (Allegrini, Begali, Brigaldara, Masi, Musella, Nicolis, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Venturini, Zenato) si sono perciò dotate di un manifesto identitario e di un regolamento consortile, accompagnati dal lancio di un ologramma che d’ora in poi comparirà sulle bottiglie di Amarone Doc, a difesa di uno dei simboli del “made in Italy” nel mondo. Un bene da non svendere.

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