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Il Sole 24 Ore

Enologia, passione a corto di posti … La professione comincia a scontare il ridimensionamento del settore vitivinicolo... Professione enologo. Una volta era semplicemente il tecnico di cantina. Oggi, e sempre più spesso, riveste posizioni direttive per diventare il vero e proprio perno dell’azienda viti- vinicola. Il ruolo dell’enologo mantiene intatto il proprio fascino ma resta anche una professione che richiede un’attenta valutazione delle trasformazioni avvenute negli annidi pari passo con i cambiamenti del settore vitivinicolo. La figura dell’enotecnico diventa rilevante a partire dall’inizio del secolo scorso dopo che, nella seconda metà dell’Ottocento, l’avvento dall’America di tre parassiti (oidio, filossera e peronospera) aveva rischiato di cancellare dall’Europa la vite e il vino. Fu in quegli anni che ci si convinse che il settore vitivinicolo aveva bisogno di basarsi su solide competenze tecniche e non più sulle tradizioni colturali tramandate di padre in figlio. Così nel corso del ‘900, con la regia dei tecnici vitivinicoli si affermarono fermentazione a temperatura controllata, analisi enochimiche, controlli microbiologici e aumentò l’attenzione per l’igiene in cantina. Aspetti che ridussero per i viticoltori il rischio di compromettere intere annate mentre consentirono ai vini di accrescere la loro qualità e di conquistare così mercati sempre più vasti. A cavallo degli anni ‘8o e ‘90, nella fase di maggiore espansione del comparto del vino made in Italy enotecnici ed enologi hanno vissuto il loro “magic moment” culminato nella legge 129 del 1994 sull’ordinamento della professione di enologo”. Il decreto ha sancito il passaggio da una formazione scolastica (si prevede che con la recente riforma Gelmini le scuole enologiche si ridurranno nei prossimi anni di un 50%) a una di stampo universitario. Per cui se in passa- tosi otteneva il titolo di enotecnico al termine di un corso di studi di sei anni in un istituto superiore (vanno ricordate le scuole enologiche di Conegliano e di Alba, con oltre 130 anni di attività) dopo la legge del ‘91 si diventa enologi solo dopo una laurea triennale. Al momento sono venti le università italiane (da Torino a Milano, da Bologna a Firenze fino a Napoli e a Palermo) che prevedono il corso di laurea in enologia. A partire però proprio dagli anni ‘90 la figura dell’enologo ha subìto un ripensamento in linea con i principali trend del settore vitivinicolo. Il vigneto italiano è passato dagli 1,2 milioni di ettari degli anni ‘80 ai 640mila di oggi. Mentre la produzione di vino, da una media di 63,6 milioni di ettolitri del periodo 1986-95 è scesa ai 45,5 milioni degli ultimi tre anni. Aspetti che non mancano di avere riflessi sulla professione. Secondo le stime di Assoenologi, l’associazione degli enologi ed enotecnici italiani (che associa il 90% dei 4.400 tecnici attivi in Italia) la dimensione minima richiesta a un’azienda per poter giustificare e sostenere il ricorso a un enologo è di 30 ettari. E nonostante in Italia operino circa un milione di aziende vitivinicole quelle che raggiungono tale dimensione minima sono circa 5mila. “La profonda razionalizzazione del settore vitivinicolo ha fatto sì che in passato gli enologi venissero assorbiti appena terminato il corso di studi - spiega il direttore generale di Assoenologi, Giuseppe Martelli - ma adesso non è più così. Secondo le nostre stime in media si iscrivono ai corsi di laurea in enologia circa 6oo studenti l’anno. Di questi però il 50% abbandona gli studi nel corso del primo biennio e solo 200 circa giungono alla laurea. Dal canto suo il settore è in grado di assorbire, compreso il normale turnover, non più di 150 enologi l’anno. Quindi, da un lato, la domanda e l’offerta di tecnici di cantina si sono molto avvicinate. Dall’altro non va dimenticato che l’Italia, rispetto a Francia, Spagna, e ai nuovi produttori, resta il paese che continua a offrire i maggiori sbocchi ai tecnici vitivinicoli”. Oltre al ridimensionamento del settore vitivinicolo la figura dell’enologo ha affrontato un ulteriore cambiamento. Il vino, ormai da tempo, è percepito sempre meno come un alimento quotidiano e sempre più come un prodotto di moda. “E l’enologo - aggiunge Martelli - che in passato era esclusivamente un tecnico di cantina ha poi via via sviluppato le proprie competenze commerciali e di marketing allargando sempre più all’interno dell’azienda vitivinicola il perimetro della propria attività. E per questo che, sugli oltre 4mila enologi oggi attivi in Italia, ben il 40% ricopre ruoli direttivi in aziende private o cooperative”. La chiave di volta resta però quella di una formazione in grado di andare al di là del semplice corso di studi. “La richiesta delle aziende - conclude il direttore di Assoenologi - ormai privilegia sempre più il percorso professionale e le esperienze sul campo che il solo corso di studi. E guarda anche alle competenze commerciali oltre quelle tecniche e alla conoscenza delle lingue straniere. E questo perché rispetto alla capacità di inventare un vino cult da oltre 100 euro a bottiglia è sempre più apprezzata quella di concepire e sviluppare un prodotto con un buon rapporto qualità/prezzo capace di produrre numeri e fatturato sui mercati”.

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