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Il Sole 24 Ore

Vince la qualità della tavola italiana ... Favorita dalla campagna salutista del governo federale... L’italian way of life in cucina conquista gli americani. Complice la nuova attenzione alla salute e all’alimentazione corretta, pasta, pomodoro, olio d’oliva prendono sempre più spazio. Con una quota di mercato del 3,3% che vale 3,2 miliardi di dollari, l’Italia è il sesto fornitore di prodotti agroalimentari per gli Stati Uniti, a ridosso della Francia con cui negli ultimi tre anni si è alternata alla quinta posizione. Dopo il calo del 2009, che ha colpito tutti, nel 2010 l’export di prodotti agroalimentari italiani verso gli Usa è tornato a crescere del 2,5 per cento. Un dato, bisogna dirlo, solo in parte incoraggiante, se confrontato con il +11,8% delle importazioni complessive del settore che è tornato sopra i livelli del 2008, a 96 miliardi di dollari.

Di sicuro aiuta a promuovere l’immagine dei prodotti italiani il successo che Eataly ha avuto a New York. Ma la dieta mediterranea ricca di fibre e vitamine e a basso contenuto calorico ha fatto “bingo” con la campagna Let’s move del governo, che la first lady, Michelle Obama, ha lanciato un anno fa. Lo slogan dice tutto: allevare una generazione di ragazzi più sani. Per le aziende italiane si traduce in maggiori opportunità. L’ultimo caso di successo è quello del marchio Pomì che il gruppo Consorzio Casalasco del pomodoro/Boschi Food & Beverage ha acquistato nel 2007 dal Parmalat. “Nel 2009 abbiamo costituito la Pomì Usa - spiega Costantino Vaia, ceo del gruppo e presidente dell’associazione dei trasformatori di pomodoro del mediterraneo - con l’obiettivo di rilanciare un marchio già conosciuto, puntando sull’italianità tipica del prodotto quale elemento distintivo rispetto ai marcia locali”. Alta qualità, processo, packaging sono i punti di forza su cui Vaia ha investito per dare a Pomì la “riconoscibilità a scaffale” che nel primo anno completo di attività, il 2010, ha portato il fatturato negli Usa a milioni di dollari, con previsioni di crescita del 35% per il 2011. “Con campagne di marketing su riviste di cucina e di costume, abbiamo cercato anche di sensibilizzare i consumatori sugli aspetti ecologici legati all’imballo, ai metodi di coltivazione e diproduzione” afferma Vaia, il quale riconosce che una spinta importante per il successo dell’agroalimentare italiano negli Usa negli ultimi anni l’ha data il gruppo Barilla che però produce nei due stabilimenti americani (nell’Iowa e nello stato di New York) quasi tutta la pasta che vende negli Usa. Barilla controlla il 30% del mercato e da tre anni è leader in tutti gli States che valgono 400 milioni di euro di fatturato, 1110% del totale. “L’obiettivo -spiegano a Parma - è raddoppiare le vendite in anni”. Nessuna incidenza diretta sulle esportazioni dunque, ma un traino importante per il settore che trae benefici dalla promozione della “autentica” dieta mediterranea, e dal lavoro sull’educazione alimentare del Balia Center for food & nutrition e oggi in perfetta sintonia con la campagna governativa. Pochi mesi fa il responsabile delle mense scolastiche di New York è stato ospite dell’Accademia Balia a Parma, durante un tour nella food valley italiana. La Giovanni Rana di Verona sta studiando da tempo lo sbarco sul mercato Usa: è alla ricerca della soluzione ideale per produrre sul posto la pasta fresca. Secondo i dati dell’US Department of Commerce rielaborati dall’Ice di New York, l’Italia copre più del 30% delle importazioni di pasta per quasi 200 milioni di dollari ed è, neanche a dirlo il primo paese fornitore. Primato che detiene anche nei vini da tavola (1,1 miliardi, quota di mercato in crescita al 32,3%).

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