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Il Sole 24 Ore

Il menu che mette di buon umore ... Nutrizione. Sta emergendo un nuovo approccio alla tavola, più all’insegna della variabilità e della sicurezza alimentare. L’obiettivo dei cibi sani è corretto ma non può trasformarsi in restrizione... Oggi la definizione di mangiare sano si perde tra una serie di parole d’ordine come “dieta”, “restrizione”, “forza di volontà” e una massa considerevole di “dovrei”: astenermi dai dolci, contare le calorie, evitare i cattivi alimenti. Un approccio - quello di negoziare sistematicamente con le tentazioni - che genera confusione e mal si concilia con il fatto che il cibo da bisogno primario si è trasformato in un piacere, da necessità a componente centrale del benessere. Tanto è vero che i messaggi che invitano a limitare gli eccessi ed evitare alcuni cibi non sono stati capaci di frenare l’obesità, che resta una malattia in silenziosa ma inarrestabile espansione. E che interessa, solo in Italia, circa 5 milioni di persone, a cui vanno aggiunti altri i6 milioni in sovrappeso, per un costo sociale pari a 8 miliardi di euro, il 6,7% della spesa sanitaria nazionale. E anche le linee guida che i ministeri della salute aggiornano e pubblicano regolarmente ogni 5 anni non hanno costituito un argine ai problemi di salute legati all’alimentazione.
Così il tema è “alimentato” da contraddizioni e il consumatore si trova tra due fuochi e, alla fine, il messaggio suona come un invito a negarsi un piacere, che non aiuta a rispettare le regole. Non è infatti divertente, per non dire frustante, pensare solo agli alimenti che non si possono mangiare o a quelli che fanno male, senza contare poi che negli ultimi anni ci sono state anche emergenze alimentari, tipo mucca pazza e influenza aviaria, che hanno aggiunto al desiderio cli benessere e di gusto anche quello di sicurezza alimentare. Introducendo, di fatto, un’altra necessità.
Sta quindi emergendo un diverso approccio al cibo, più “sentimentale”, all’insegna della flessibilità e della sicurezza, contrario all’omologazione del gusto e alla chimicizzazione dei sapori. Che varia in risposta al tipo di fame, alla pianificazione, alla vicinanza al cibo e alle nostre sensazioni. “In breve - dice Ellyn Satter, la prima ad aprire la strada al concetto di competenza e responsabilità alimentare -‘ perché non si può mangiare in maniera flessibile e divertente? Certi giorni mangio un piatto colmo di verdure, altre volte mi concedo un dessert. Il pensiero verso cibi nutrienti va bene, ma non al punto di arrivare a misure restrittive che non ci gratificano. Significa concedersi a volte di mangiare in base allo stato d’animo, perché si è felici, tristi o annoiati, o semplicemente perché ci si sente bene. Normale vuoi dire mangiare 3,40 cinque pasti al giorno, così come scegliere di sgranocchiare qualcosa lungo la strada. Perché sappiamo di essere in grado di compensare i nostri errori il giorno successivo”.

Anche Karly Randolph Pitman, fondatrice del blog First ourselves, scrive: “Mangio cibi che mi fanno stare bene, mi piace una bistecca ogni tanto, amo le in- salate e il risorto è la mia idea di paradiso. Lo zucchero mi deprime, le uova fritte mi danno i brividi, i cibi confezionati e molto lavorati mi annoiano, quindi lievito. Ma quello che mangio oggi potrebbe domani essere diverso, in inverno ho dei gusti, in estate alti. Che bello poter scegliere e non essere costretta a mangiare ie stesse quattro cose elencate nei “cibi buoni”. Senza senso di colpa, vergogna, rimorso o calcolo di calorie. Quello che colpisce è che la nostra società promuove abitudini che ostacolano questi sani principi. Anzi, vengono incoraggiate e applaudite diete restrittive, mentre cedere a una fetta di torta è indice di scarsa forza di volontà. La chiave per essere magri, belli e felici, insomma è trasformarsi in uno scrupoloso detective che passa in rassegna le etichette per conoscere livelli nutrizionali e calorie. E l’elenco di esperti del cibo che la pensano così è in aumento. E, ognuno ha la propria ricetta per quanto riguarda la flessibilità a tavola. Sara Baer-Sinnott, autrice con Dun Gifford del libro “The oldways table”,che è anche un blog, ha deciso che per lei mangiare sano è provare almeno una nuova ricetta alla settimana. Per Walter Willett, presidente del dipartimento di Nutrizione alla Harvard school of public health “non serve molto per essere soddisfatti, ridurre al minimo amidi e zuccheri raffinati, e aumentare i cereali integrali”. E in Europa? Secondo l’ultima indagine dell’Eurobarometro 2010, sapore e gusto sono gli elementi su cui più si concentrano le percezioni e le aspettative, ma rispetto al 2005 sono aumentati coloro che associano al cibo i rischi provenienti da prodotti chimiciepesticidi.fl17% degli italiani per esempio considera molto probabile che il cibo consumato possa arrecare danni alla propria salute. A fare più paura sono gli inquinanti, come mercurio e diossina (83%), e gli animali donati (75%). E per i prossimi anni, secondo i dati raccolti dall’Osservatorio scienza tecnologia e società, le principali minacce per la salute cadono sull’inquinamento dell’aria nelle città (35,9°i), mutamenti climatici (25,5%), epidemie virali (,8%), diffusione di ogm (12,5%).

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