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Il Sole 24 Ore

Fiere ... Focus su costi, export e servizi ... Metà degli operatori convinti che il 2012 sarà critico per il sistema fieristico italiano ... Taglio dei costi, maggiore internazionalizzazione,
meno sovrapposizioni di eventi: sono tante le ricette degli operatori per affrontare un 2012 di recessione, probabilmente un annus difficile per l’Italia delle fiere. Nel 2011 gli spazi fieristici venduti sono calati del 2% con un indebolimento dei prezzi al mq, ora l’ultimo barometro sul sentiment degli operatori per il 2012, preparato dall’Unione internazionale delle fiere, conferma i timori: la maggioranza degli operatori europei risponde che la fase di crescita dei ricavi si è arrestata; il 50% circa di loro è convinto che la crisi termini nel 2013; in giugno la percentuale era del 63%. Il 14% di chi ha risposto invece vede l’uscita dal tunnel soltanto nel 2014.
“La crisi - conferma Enrico Pazzali, ad di Fiera Milano - si sta prolungando assai più del previsto e negli ultimi mesi le previsioni di crescita sono state riviste al ribasso un po’ ovunque in Europa, con una particolare criticità proprio in Italia. Pare ragionevole pensare che i nostri clienti possano risentire della recessione, per contrastare la quale è ormai della massima urgenza rivitalizzare il circuito del credito verso le Pmi”. Che fare per attenuare il calo di espositori e giro d’affari? “Innanzitutto - interviene Antonio Cellie, ad di Fiere di Parma - bisogna ridurre i costi per diventare più attrattivi per organizzatori ed espositori e generare risorse per consolidare il proprio portafoglio prodotti. Poi è necessario distinguere e specializzare le due funzioni fondamentali, quartierali e organizzative: i modelli di business sono diversi, a volte antitetici, come lo sono quelli di un aeroporto e di una compagnia aerea”. “Vedo un 2012 selettivo - esordisce Armando Campagnoli, presidente di BolognaFiere - e Bologna deve integrare ulteriormente il gruppo, adottare nuove tecnologie e fare più innovazione”. E il mercato? “Bisogna decidere se stare sopra o sotto la crisi: le fiere sono uno strumento per le Pmi per il marketing e l’export”.Per Franco Bianchi, segretario generale di Cfi, l’agenzia di Confindustria per le fiere industriali, “i quartieri per superare la fase critica, che in buona parte è stata determinata da forti investimenti strutturali divenuti operativi inun momento di contrazione della domanda, dovrebbero oggi dedicarsi al miglioramento della qualità dei servizi, attivando una politica che coinvolga maggiormente il territorio e i servizi indotti per fidelizzare l’utenza fieristica”.
Difficoltà congiunturali a parte, per Fiera Milano “questo sarà l’anno - aggiunge Pazzali - delle grandi manifestazioni biennali e triennali che hanno un effetto ciclico sul nostro calendario. Ma avremo un’ulteriore accelerazione delle attività sviluppate all’estero, grazie all’export di alcune mostre di punta. Dobbiamo comunque intensificare i nostri sforzi sui mercati esteri che tirano: in primo luogo le grandi economie dell’Asia e dell’America Latina. E trovare ulteriori spazi sia di efficientamento dell’azienda sia di concorrenzialità delle nostre manifestazioni”.
Anche Parma, da tempo, ha pensato a efficienza e “internazionalizzazione”. “Abbiamo ridotto - sostiene Cellie - i costi di struttura del 20%, costruito e sviluppato i nostri rapporti con organizzatori nazionali e internazionali (Senaf e Frankfurt Messe) e abbiamo consolidato presso il nostro quartiere i nostri prodotti core: Cibus (spazi esauriti per questa edizione ndr), Cibus Tec e Mercante in fiera”. Ma tutte queste ricette non sembrano bastare: “Serve un coordinamento nazionale - dice Franco Boni, vice presidente di Aefi, l’Associazione dei quartieri fieristici - che eviti eventi fotocopia che, alla fine, arrecano danno a tutti. Basta con la rivalità tra Milano, da una parte, e Bologna e Verona, dall’altra. E basta con le rivalità anche in Emilia Romagna”. Boni invoca la regia pubblica. “Si deve procedere per gradi - sostiene -, prima a livello regionale. E infatti la Regione Emilia Romagna ha proposto di indentificare tre poli regionali e difenderli: Parma nell’alimentare con i satelliti-incubatori di Reggio e Piacenza; Rimini, con l’apporto di Forlì e Cesena, e Bologna, centrale rispetto a Modena e Ferrara”. “Poli regionali? - si chiede Campagnoli - No: il problema è nazionale. Lo schema da seguire è che ci sono i poli di Milano, Verona, Bologna e Vicenza:
una grande struttura fieristica e tre quartieri collegati a distretti produttivi. Monti fa bene a liberalizzare, ma il futuro del made in Italy è legato alla scelta di una politica industriale, compresa quella fieristica”. Secondo Cellie “la domanda di fiere si è spostata rapidamente verso i Paesi obiettivo ma le fiere italiane che hanno deciso di andare all’estero non sembrano sufficientemente forti sul mercato domestico/europeo. I tedeschi prima di avventurarsi nei paesi Bric hanno costituito barriere solidissime sul proprio mercato”. “Chi sostiene - conclude Campagnoli - che il problema siano le fiere dei “mille campanili” dice una sciocchezza:
l’8o% dell’attività fieristica si svolge in quattro quartieri e con dieci associazioni. Il problema è nel groviglio di interessi di quartieri, organizzatori semi privati e associativi. E complicato da organizzatori alla ricerca della migliore offerta: Saie 2 stava a Bologna e Federlegno l’ha spostata a Milano. Quando si avrà il coraggio di scrivere questa verità sarà troppo tardi”.
Bianchi però osserva che “se le associazioni scelgono un altro quartiere è perché il mercato richiede un altro taglio o un target diverso. Da condannare ovviamente il dumping tariffario. Ma se Made Expo e Saie e se Cibus e Tuttofood convivono con soddisfazione del mercato perché eliminarne una?”.

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