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Il Sole 24 Ore

Agroindustria. Nel 2011 produzione in calo del 16,7% per il clima, ma le vendite all’estero bilanciano fatturato e utili ... Il vino rilancia sull’export di qualità ... Decisiva l’offerta più raffinata per conquistare quote sui mercati mondiali ... La rincorsa sulla Francia non finisce mai. Il vino italiano è ancora lontano dal benchmark del mercato mondiale. Anche se l’export nazionale aumenta più in valore che in volume. Le elaborazioni dell’organizzazione internazionale della vigna e del vino, che sono state al centro ieri di un convegno organizzato da Confagricoltura, hanno delineato il complesso contesto internazionale in cui i piccoli e i medi produttori italiani devono competere ogni giorno, miscelando (frequenti) politiche di prezzo e (rare) economie di scala. E vero che, nel 2011, le esportazioni sono aumentate in quantità del 9% e in valore del 12 per cento. Il che mostra come, poco alla volta, le politiche di brand formale e informale, praticate a livello di sistema dai consorzi o dalle singole imprese più organizzate, funzionino e convincano i consumatori di Pechino e di San Francisco, di Rio de Janeiro e di Stoccolma a pagare in media la bottiglia italiana più di quanto facessero un tempo. Ma è altrettanto vero che il prezzo medio al litro ottenuto dai francesi è di 4 euro, contro i 2,68 euro strappati dagli italiani. E vale poco ricordare come il 50% di quei 4 euro sia dovuto agli champagne. Sarebbe come sostenere l’equivalenza dell’industria meccanica italiana e di quella tedesca, se dai dati relativi alla produzione, ai fatturati aggregati e all’export venissero espunte Bmw, Daimier-Mercedes e Volkswagen. L’auto tedesca esiste. Ed esiste anche lo champagne francese, con tutto il suo fascino e la sua forza finanziaria sui mercati mondiali. Comunque sia, l’export nazionale divino vale 4,4 miliardi di euro. E la sua dinamica è positiva. Questo, a fronte di una riduzione della produzione. Nel 2011 l’Italia ha prodotto 41,5 milioni di ettolitri, con un calo rilevante: -16,7 per cento. Una flessione dovuta a una duplice ragione: il cattivo tempo e l’abbandono di 30mila ettari di vigne (l’l% del totale). Abbandono finanziato con i soldi europei, che hanno foraggiato la pratica della “estirpazione” anche in Francia (-1% delle vigne) e Spagna (-5%). La dinamica produttiva negativa accomuna Italia, Grecia (-13,6%) e Spagna (-3%). L’incremento dell’export, dunque, fa il paio con un deciso calo della capacità produttiva del settore. E, così, la capacità di piazzare i propri prodotti al di fuori del mercato domestico diventa sempre più vitale. Dunque, da questo punto di vista, appare rilevante la ripresa degli scambi mondiali, che nel 2011 sono aumentati del 7,9 per cento. Anche se l’Italia si trova ad affrontare un contesto internazionale che, negli ultimi trent’anni, è profondamente mutato. Con un cambiamento degli equilibri fra vecchio mondo e nuovo mondo. Secondo un rapporto che Nomisma presenterà oggi, fra il 1981 e 111985 i primi cinque paesi europei detenevano il 75,6% delle quote del mercato mondiale, mentre gli Stati Uniti e il cosi detto “emisfero sud” (Australia, Nuova Zelanda, Argentina, Cile e Sud Africa) si fermavano all’1,6 percento. Oggi i primi cinque europei sono scesi al 61,9%, mentre gli altri sono saliti al 29,4 per cento. Per quanto questa globalizzazione abbia effetti difficili da prevedere e da governare, meno male che c’è, l’export. Perché il mercato interno italiano inizia davvero a diventare un problema. Lo sbocco nazionale assume tratti sempre più critici. Basti pensare che il consumo di vino procapite, nel nostro paese, è stato nel 2010 di 40,7 litri. La stima per il 2011, elaborata dall’organizzazione internazionale della vigna e del vino, è quella di un calo a 37,9 litri.


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