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Il Sole 24 Ore

Nell’universo Champagne c’è un nome capace di evocare memorie e rimpianti come pochi altri. Si tratta di Charlie: basta citare l’annata 1985 - che è stata l’ultima prodotta di questa celebre cuvée - per veder comparire sorrisi e sguardi nostalgici sui volti degli appassionati. Per ché di questo amico di vecchia data, in Italia, si sono perse le tracce dalla fine degli anni Novanta, quando Charles Heidsieck è letteralmente scomparsa dal mercato italiano. Colpa di scarsa visione nelle logiche distributive e di un’eccessiva vicinanza (nel marketing e nella comunicazione) con la sorella maggiore Piper-Heidsieck, con la quale invece la boutique maison fondata nel 1851 a Reims condivide ben poco in termini di numeri e stile. Oggi la “bella addormentata” si lancia nuovamente sul mercato italiano grazie al recente accordo con Philarmonica, la società di Guido Folonari che si occupa di selezione e distribuzione divini, tra cui quelli delle tre tenute di proprietà a La Morra, Montalcino e Bolgheri. L’imprenditore bresciano ha intenzione di guadagnare mercato senza fretta “Cercheremo un posizionamento di qualità, anche attraverso eventi e ristoranti selezionati che possano farci da ambasciatori, facendo leva sull’ottima reputazione del nome, sulla storia della maison e sui prezzi competitivi”. Charles Heidsieck è una maison da meno di un milione di bottiglie l’anno, ma con le spalle larghe: dal 2011 fa parte del Gruppo Epi del francese Christopher Descours, che controlla i marchi J.M. Weston, Alain Figaret, Bonpoint, Michel Perry e Franois Pinet. Anche le altre posizioni di comando sono cambiate di recente: il presidente è Cécile Bonnefond, nome di successo nel circuito Champagne, già ceo di Veuve Clicquot Ponsardin del gruppo Lvmh. “Per noi - conferma Bonnefond - l’Italia rappresenterà uno dei cinque mercati strategici per i prossimi anni, insieme a Inghilterra, Australia, Giappone e ovviamente Francia. Ci rivolgiamo a un target estremamente preciso; con una fidelizzazione a lungo termine e una comunicazione di qualità che racconti il nostro savoir-faire”. Lo chef de caves è Thierry Roset, un personaggio di fiducia che ha speso 25 anni in azienda e che oggi ha la responsabilità di succedere a Régis Camu - uno dei più grandi di tutti i tempi - con l’obiettivo di trovare un non facile equilibrio tra la tradizione e la necessaria innovazione. “Vorrei dei vini che assomiglino a un libro aperto - è questa la visione di Roset - ma dotati di grande complessità e profondità”. Per questo, in termini di assemblaggio delle uve, ha deciso dir e- stringere il numero dei cm da 120 a 60 e ha voluto solo vini di riserva con una media di 10 anni d’affinamento nelle crayères, le celebri cave di gesso gallo-romane del Il secolo, collegate da gallerie a venti metri di profondità con una temperatura costante di 9 gradi. Anche il restyling dell’etichetta e del packaging ha giocato un ruolo importante.
In attesa che la maison possa pensare di riportare invita la celebre cuvée Charlie, sono oggi cinque le etichette disponibili in Italia: il Brut Reserve, il vino “base” non millesimato, ottenuto con il 40% di riserve e affinato almeno tre anni; il Rosé Reserve, elegante e vivace cuvée; il Brut Vintage 2000, campione in lunghezza e potenza; il Vintage Rosé 1999, dal naso speziato e dalla bocca armoniosa; infine il Blanc des Millenaires, nell’annata 1995, solo Chardonnay affinato 10 anni in bottiglia surlies:un blanc de blancs nobile, tagliente e freschissimo, con raffinati aromi di frutta candita e un palato generoso. Nonostante la mano diversa in cantina, si apprezza la continuità con il passato (non recente) e lo stile molto personale che caratterizza trasversalmente tutta la produzione. Bentornato, Charlie.

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