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Il Sole 24 Ore

La ristrutturazione
dei vigneti italiani
non perde appeal ... Non si ferma in Italia la corsa alla ristrutturazione dei vigneti. La misura introdotta da Bruxelles nel 2001 dopo quindici anni non solo non registra rallentamenti ma anzi vede raddoppiare gli investimenti dei viticoltori. È quanto emerge dai dati dell’annualità 2015 (che si è chiusa nei giorni scorsi) e che ha fatto segnare un nuovo record dei fondi Ue spesi per il restyling dei vigneti italiani:
164 milioni contro gli 82 di media dei primi anni Duemila. Risorse
cheservonoacofmanziareal50%
gli interventi effettuati dalle aziende vitivinicole. Numeri record quindi che sono anche il risaltato di un percorso di costante crescita dell’asse “ristrutturazione e riconversione” all’interno delle misure previste dall’Ocm vino e perle quali Bruxelles destina all’Italia circa 330 milioni l’anno. L’incidenza del restyling che infatti all’esordio era del 30% del valore del plafond assegnato all’Italia è ora arrivato ad assorbire oltreil49percento.
Insomma nonostante a partire
dal 2001 siano stati ristrutturati in Italia oltre 220n311a ettari di superfici vitate (un terzo del totale),con una spesa di parte Ue di complessivi 1,76 miliardi di euro la misura non perde appeal. “La corsa a rifare il vigneto è il sintomo della volontà dei viticoltori italiani di adeguarsi ai cambiamenti della domanda - spiega il responsabile vino della Coldiretti, Domenico Bosco - In questi anni poi c’è stato il traino di alcuni veri e propri fenomeni come il Prosecco nel Nord Est. Molti hanno piantato Glera (il vitigno del Prosecco) finché non è stato deciso il blocco degli impianti. In seguito tanti in quell’area si sono riposizionati sul Pinot Grigio, altro vino che sta incontrando all’estero una nuova giovinezza. E poi non va dimenticato il caso della Doc Sicilia, la denominazione regionale che ha introdotto regole produttive più stringenti richiedendo ai produttori di modificare i propri vigneti”. “Non mancano i casi di vitigni prima solo a diffusione regionale
che ora stanno uscendo dall’anonimato - aggiunge il responsabile vino della Cia, Domenico Mastrogiovanni - come i grandi rossi pugliesi Negramaro e Nero di Troia. Oppure il caso dell’Abruzzo, in passato quasi una regione monocultivar col Montepulciano, e che invece sta ora vedendo crescere un vitigno bianco come il Pecorino. O ancora lo sviluppo del Pignoletto in Emilia Romagna e la crescita del Vermentino in Sardegna e Toscana”.
Ma la soddisfazione del mondo agricolo non è condivisa dall’intera filiera. “Gli investimenti in ristrutturazione almeno nella prima fase sono stati importanti aggiunge il presidente di Federvini, Sandro Boscaini - ma adesso non più. Ora sono decisioni figlie di un’illusione: che basti modificare gli impianti per vendere il prodotto sui mercati. Invece la complessità dell’offerta vitivinicola italiana va spiegata al consumatore internazionale con idonee azioni di marketing. Se non si vogliono fare i conti con un’amara realtà è meglio concentrare le risorse sul mercato, sulla commercializzazione e sulla promozione all’estero”.

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