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Il Sole 24 Ore

Usa, il vino italiano punta al rialzo ... Si assaggia in Italia, si
negli Stati Uniti. Il vino italiano continua a fare breccia negli States, il più grande mercato al mondo per consumi totali. Export Usa, società di consulenza con doppia sede tra New York e Miami, prevede “ulteriori spinte all’insù” per m settore che gareggia già con auto e gioielleria nel paniere dei prodotti tricolori più amati al di là dell’Atlantico.
Solo nell’interscambio de iprimi sei mesi del 2015, chiuso con un boom del 27,5% nell’export, il vino ha inciso per il 5% sul totale dei beni venduti e registrato un balzo deli9% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. L’evoluzione rispecchia le attese per il 2015 di Wine Monitor, osservatorio di Nomisma, dove si parla di un incremento del 6% nelle spedizioni per un valore di 5,4 miliardi di dollari.
Proprio gli Usa svettano tra le frontiere più redditizie, complice l’aumento di qualità e quantità dei consumi che sta cambiando volto al mercato americano. Secondo le cifre fornite da Wine Institute i consumi generali sono aumentati del 13% tra 2010 e 2oi4, fino a un picco stimato intorno ai29 milioni di ettolitri. La produzione interna continua a fare da padrona, a partire dalla California, ma la quota dì importazioni è salita al 31% del totale e potrebbe riservare altre sorprese anche in una seconda metà dell’anno che si annuncia più tiepida. Quali sono i bouquet che seducono il gusto della clientela Usa? Tra gli exploit più evidenti c’è quello del cosiddetto “sparkling wine”, la definizione in uso negli Stati Uniti per i “nostri” prosecco e champagne. Le bollicine hanno visto crescere del 28% i consumi e addirittura del 50% le importazioni dai principali fornitori esteri: un’effervescenza che non passa inosservata, se si considerano i record macinati dal Prosecco da più di io anni. Gianluca Bisol, presidente amministratore delegato dell’omonima cantina della Valdobbiadene, ha appena riscaldato il “derby” con lo champagne francese annunciando un picco produttivo da un miliardo di bottiglie entro il 2030. Se si restringe il campo ai soli Stati Uniti le vendite delle bollicine trevigiane sono lievitate del 40% nel primo semestre dell’anno, per un valore di 100 milioni di dollari. Quanto alle destinazioni interne, il grosso della domanda potrebbe concentrarsi su un mercato a sé come New York (4mila ristoranti d’alta fascia, per un fatturato da miliardi di dollari) e partner del calibro di California, Texas e Florida.
Gli esperti di Export Usa, però, invitano a tenere in considerazione un fattore anche più incisivo della distribuzione geografica: l’età. Le nostre etichette raccolgono apprezzamenti su recensioni online e social network presidiati dai millennials, la generazione di under 30-35 con più presa sul mercato. Caratteristiche della categoria? Interesse per la qualità più che per il brand, uso massiccio del web per le informazioni sull’acquisto, voglia di conoscere a fondo l’Italian way of life che si fa largo tra wine bar e ristoranti d’alta fascia.
“I millennials sono quelli che detteranno i trend. Un’azienda non dovrebbe prescindere dai gusti che esprimono, a cominciare dal loro canale privilegiato:
i social. E lì che i nuovi consumatori fanno massa e si esprimono di più , offrendo un gancio per strategie di marketing”, spiega al Sole 24 Ore Muriel Nussbaumer, socia e Ceo di Export Usa. E bene precisare: social network non equivale a e-commerce, canale problematico (in alcuni Stati non è legale la vendita on line di alcolici, ndr) e comunque inadatto alla penetrazione di prodotti che richiedono un’opera costante di “ambasceria” del brand. Non è un caso che l’Italia spicchi nel segmento premium, quella delle bottiglie da 10 dollari in su. Come spiega Nussbaumer, “bisogna avere delle persone sul territorio che rappresentano e vanno a fare degustare il vino, perché entri in contatto con il consumatore e ricevi dei feedback immediati”.
Finora, sono soprattutto le cantine più blasonate ad aver imposto i propri marchi nelle vetrine di New York e Manhattan. Ora potrebbe essere il turno delle “piccole”, le nicchie d’eccellenza che lavorano sui vigneti dal Trentino alla Sicilia: “Quello che vogliamo fare è portare le cantine piccole, che non ‘esportano, su un mercato già maturo come quello degli Stati Uniti. Bisogna considerare che affacciarsi sulla sola New York, con i suoi milioni di turisti annui, equivale a crearsi uno sbocco potenzialmente grande quanto. l’Italia”. Nessun timore sull’effetto “sboom” nei conti di fine anno? “Siamo fiduciosi su un anno in crescita. E non abbiamo ragioni di pensare diversamente”.

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