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Il Sole 24 Ore

Vino, per l’export la promozione non basta ... Il futuro del vino made in Italy non può dipendere solo dalla promozione. La competitività del settore non può fare ameno di affiancare alle iniziative di marketing sui mercati esteri anche la soluzione ad alcuni nodi strutturali. È quanto è emerso ieri a Milano dal corso dell’incontro “Gli ingredienti per la competitività del settore vinicolo nei mercati internazionali” che si è tenuto nell’ambito de14° Forum Food & Made in Italy. Il dibattito si è articolato attorno

all’ambizioso obiettivo promosso dal Premier, Matteo Renzi che, al Vinitaly di due anni fa auspicò per il vino italiano il raddoppio delle esportazioni nell’arco di cinque anni. Un obiettivo impegnativo ma alla portata se il settore vinicolo italiano riuscirà a mettere in campo una strategia a 36o gradi. Al momento infatti si punta molto, quasi tutto, sugli investimenti promozionali. Azioni sostenute da un lato dalla riforma Ue dell’Ocm vino (che cofinanzia i progetti al 5o% con un budget di 102 milioni di curo l’anno) e, dall’altro, dal Piano per la promozione del made in Italy messo in campo dal Governo. “Risorse che rispetto al passato stiamo dimostrando di spendere meglio - ha

spiegato Silvana Ballotta, responsabile di Business Strategy, azienda di consulenza che affianca molte imprese del vino made in Italy nelle azioni di promozione -. Dopo qualche anno in cui la spesa è andata a rilento, nel 2015 sarà utilizzato oltre il 90% del budget. Ma non possiamo accontentarci di una buona performance sotto il profilo quantitativo. È invece fondamentale andare a verificare come quelle risorse sono state utilizzate”. “E sotto questo profilo - ha aggiunto Giovanni Mantovani, direttore di Veronafiere che sotto le insegne di Vinitaly effettua da anni molte iniziative a favore del vino made in Italy all’estero - notiamo con rammarico che nelle nuove regole fissate dall’Italia per utilizzare i fondi Ue è stato dato maggiore rilievo a chi apre mercati nuovi senza alcuna valutazione delle esperienze maturate da chi già opera da anni”.

Chi ha posto l’accento sull’opportunità di affiancare la promozione con anche altre tipologie di azioni è stato il direttore di Federvini, Ottavio Cagiano de Azevedo. “Bisogna ottenere di più negli accordi commerciali - ha spiegato -. Senza affrontare i nodi delle tariffe, dell’imposizione fiscale e dei carichi burocratici, promuovere semplicemente le etichette italiane rischia di diventare un esercizio sterile”. “E poi c’è il nodo dimensionale - ha aggiunto il vicepresidente dell’Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi - la struttura delle nostre aziende è ancora troppo piccola per il mercato mondiale. Che senso che una piccola azienda vada ad esempio in Cina a far conoscere il proprio vino per poi rispondere, di fronte a un ordinativo di un buyer da decine di migliaia di bottiglie, di non disporre di una produzione sufficiente?”.

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