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Il Sole 24 Ore

Vendite trainate dall’effetto Expo ... L’agroalimentare italiano rischia di perdere quote di competitività e di avvitarsi in una spirale di recessione. Molti i segnali che indicano un malessere profondo. La recente crisi delle quotazioni del grano (18 cent il chilo), anticipata da quelle del latte e dell’ortofrutta, da quelle delle carni suine, sono i molti segnali di allarme che arrivano dall’agricoltura. Pur avendo perfomance migliori, anche l’industria di trasformazione mostra sintomi di debolezza, almeno nella prima parte dell’anno in corso. Secondo le proiezioni sui dati Istat, nel primo semestre l’export potrebbe scendere fra 3 e il 3,5% rispetto allo stesso periodo del 2015. Va tuttavia ricordato che lo scorso anno le esportazioni italiane usufruivano del formidabile effetto traino internazionale di Expo: il 2015 si è chiuso con il record di 36 miliardi lii valore delle nostre esportazioni. La produzione dell’industria alimentare nel suo complesso ha segnato un fragile +0,7% nei primi quattro mesi, rispetto al primo quadrimestre 2015. Un dato su cui ha influito la congiuntura stagionale, ma che nasconde la costante immobilità dei consumi interni. Debolezza confermata dal ritorno della deflazione in Italia - nonostante la raffica di campagne promozionali nell’alimentare - e dall’andamento dei prezzi delle materie prime agricole. In base all’ultima rilevazione di Ismea Servizi, a giugno l’indice dei prezzi alla produzione ha registrato un calo del2,l% su base mensile e ben del 3,7% su base annuale. Complice il maltempo, quest’anno la campagna di raccolta dei cereali e della frutta estiva, dal punto di vista qualitativo, non è di quelle da ricordare. Tuttavia sarà ricordato il crollo di oltre il 6% delle vendite di frutta fresca nella. grande distribuzione organizzata (dato aggiornato a giugno). Rispetto allo scorso anno, le catene distributive hanno cercato di compensare il calo dei volumi,con politiche di prezzo più remunerative, ma il valore aggiunto non è arrivato ai coltivatori. Da ormai quasi tre anni le aziende agricole perdono quote di redditività e quelli che una volta erano i nostri cavalli di battaglia- ortofrutta, olio di oliva, carni suine trasformate - sono circondati da purosangue agguerriti. Secondo Fepex, l’associazione spagnola dell’import export di ortofrutta, nell’ultimo anno in Europa si sono consolidate le piattaforme dell’export di Marocco, Egitto e Turchia. Ormai sui mercati europei- quelli che erano in questi canali di sbocco - oltre alla Spagna (40% della quota import della Germania) si sono affacciati nuovi e temibili competitor. Nei primi quattro mesi 2016, in base alle elaborazioni di Elstat, le esportazioni greche di ortaggi e frutta fresca verso la Ue sono cresciute del 43,2% in volume e del t,5% in valore. Così tanti concorrenti sul mercato europeo hanno avuto come conseguenza la perdita di quote commerciali peri prodotti made in Italy. Prima conseguenza per le aziende agricole, italiane è stata quella di ridurre gli investimenti. L’economia agricola funziona su due filoni: con i finanziamenti della Politica agricola comune e con i Psr; con i normali canali del credito a sostegno degli investimenti. A spiegare la frenata della spesa per investimenti è Feder Unacoma, la federazione dei costruttori di macchine agricole:
nel primo semestre dell’anno in corso, le vendite di trattori sono scese del 44%.“Nel nostro Paese - spiegano i costruttori - è in atto una riduzione costante delle vendite a partire dal 2005. E evidente la necessità di un piano di incentivi che si sviluppi in modo coerente e che incoraggi le imprese agricole ad effettuare investimenti per l’acquisto di quei mezzi meccanici e di quelle tecnologie che sono necessarie a migliorarne la competitività”. Giorgio Mercuri, presidente dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari, mette il dito nella piaga L’Italia, nonostante qualità e tradizioni produttive, non ha sviluppato una efficiente capacità di aggregazione dell’offerta per rispondere ai grandi gruppi della Gdo e per riuscire a incidere nelle politiche di prezzo. Il fatto è che in Italia operano 312 organizzazioni dei produttori di ortofrutta, ma controllano solo un terzo dell’offerta. Ecco perché sui mercati tedeschi, olandesi, svedesi e inglesi sono arrivati anche i greci.

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