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Il Sole 24 Ore

L’autogol nella corsa ai vigneti ... Tutti vogliono produrre vino. La crisi di redditività che sta attanagliando alcuni settori agricoli come i seminativi e la zootecnia sta spingendo molti produttori verso l’unico comparto che sembra invece mantenere prospettive al punto da attrarre investimenti dall’estero; moltiplicare le occasioni professionali (anche nell’ampio indotto) coinvolgendo così lungo la filiera schiere di giovani.
La convinzione di essere di fronte a una vera e propria”sbornia” da vino è rafforzata dai dati relativi alle autorizzazioni all’impianto (che sono state assegnate tra febbraio e marzo scorsi). Si tratta delle licenze che occorre detenere insieme alla proprietà del vigneto per produrre vino e che dal primo gennaio 2016 hanno sostituito il meccanismo dei diritti di impianto. Ogni anno e fino al 2020 ogni Stato membro potrà mettere a bando nuove autorizzazioni nella misura massima dell’1% della propria superficie vitata nazionale. La prima annualità, quella del 2016, in Italia ha registrato un vero e proprio boom di richieste: su una disponibilità annua di 6.400 ettari di nuove autorizzazioni messe a bando, sono pervenute domande per 67mila ettari. Numeri che si commentano da soli e che sono stati registrati in misura eclatante lungo tutto il territorio nazionale visto che le uniche regioni che hanno ricevuto richieste proporzionate al plafond disponibile sono state Piemonte,Umbria e Lazio in tutte le altre le domande hanno surclassato le disponibilità.
L’unico requisito richiesto per presentare domanda era la disponibilità di un terreno agricolo anche se non coltivato a vigneto. Da qui l’esplosione delle istanze da parte di grandi aziende non vitivinicole che ha portato a un taglio lineare delle approvazioni. In sostanza ogni richiesta è stata approvata per circa il 2,5% con l’effetto perverso che chi ha chiesto di autorizzare impianti per mille ettari si è visto assegnare licenze per circa 25, mentre il piccolo produttore che voleva allargare il proprio vigneto di 2 ettari si è visto autorizzare l’impianto per pochi metri quadri.
Ma al di là dei numeri sulle quantità da un’analisi più approfondita dei dati sulle autorizzazioni emergono ulteriori elementi di riflessione. Primo tra tutti il fatto che una misura concepita per favorire la competitività del vino italiano è andata per circa l’87% a favore di imprenditori esterni al settore vitivinicolo promuovendo così una sorta di turnover intersettoriale in agricoltura all’insegna dell’aspettativa di un ritorno sugli investimenti effettuati migliore rispetto a quello dei settori di provenienza.
In base alle elaborazioni effettuate dall’Unione italiana vini infatti sui 66.64 ettari richiesti ben 57.645 sono stati opzionati da imprese attive nel settore dei semi- nativi. Tra queste sono in buona parte comprese aziende zootecniche e imprese attive nella produzione di agroenergie. Circa i.5oo ettari sono stati richiesti da proprietari di terreni adibiti a pascolo o utilizzati in coltura promiscua e solo 7.440 ettari,pari all’11% del totale, da aziende vitivinicole. La stragrande maggioranza di queste istanze di settori diversi dal vino è stata registrata in Veneto (600,0) e in Friuli Venezia Giulia (17%). Mentre le domande da coltura arborea specializzata (ovvero da imprese che già conducono un vigneto) sono arrivate prevalentemente dalle aree che già dispongono delle superfici vitate più estese e cioè, oltre Veneto e Friuli da Puglia, Sicilia, Emilia Romagna.
“Sul settore vitivinicolo - spiegano all’Unione italiana vini
- si sono lanciati in tanti provenienti da colture che oggi non garantiscono redditi sufficienti. Colture che, oltre ad avere estensioni mediamente più grandi, sono spesso in posizioni spesso pianeggianti e meno vocate alla qualità. Occorre introdurre dei criteri di ammissibilità per filtrare le autorizzazioni in futuro evitando incursioni selvagge e favorendo invece quei territori e aree vocati alla qualità e che devono incrementare la produzione perché alle prese con una crescente domanda di mercato”.
Tra i produttori invece non mancano le preoccupazioni e non solo per un bando di assegnazione che, utilizzato in massima parte per far entrare nella produzione di vino imprese esterne al settore, ha vanificato uno strumento pensato per garantire alle imprese viticole di adeguare il prodotto alle richieste del mercato. “Non vogliamo porre barriere all’arrivo di nuovi imprenditori nel settore - spiega il responsabile vino della Coldiretti, Domenico Bosco - ma temiamo che un ingresso massiccio e non regolamentato di aziende che finora non avevano un filare di vigna nei prossimi anni possa gonfiare l’offerta di vino con conseguenti squilibri di mercato. Per il futuro noi proponiamo di fissare un tetto massimo alla richiesta e alla concessione delle autorizzazioni e una priorità nel bando alle richieste di cantine già attive”.

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